sabato 17 ottobre 2009

Zeitgeist

Uno dei motivi per i quali Lost affascina tanto in profondità coloro che riescono ad andare al di là dell'apparente astrusità della trama, è il suo essere uno dei rappresentanti più maturi, se non il più completo, di quello che potremmo chiamare lo spirito dei tempi delle narrazioni contemporanee. Dando uno sguardo a film e telefilm che oggi occupano la ribalta mediatica statunitense e - per estensione imperialistica - di tutto il mondo occidentale, è facile cogliere un tema dominante nelle trame, almeno di quei prodotti che per comodità chiamiamo fantastici o fantascientifici, ma che di fatto contengono le riflessioni più ricche e sfidanti sull'oggi, dal punto di vista etico, politico, filosofico. Parliamo del tema banalmente detto destino vs. libero arbitrio, ossia quello che riguarda la dialettica tra libertà e necessità, tra la possibilità di costruire il proprio futuro e l'ineluttabilità di un destino già scritto. In Lost è diventato, nelle ultime due stagioni, il leitmotiv principale - che in The Incident è culminato nel confronto tra Jacob e il suo antagonista nerovestito e nel cliffhanger sull'esplosione della bomba - ma era, abbiamo visto, presente in nuce fin dal pilot. Ma, lasciando l'Isola, è qualcosa di più di una coincidenza l'uscita simultanea di un Terminator: Salvation e di uno Star Trek made in Abrams che parlano sostanzialmente della stessa cosa, così come non è un caso che al Life on Mars inglese seguano remake in USA, in Spagna e prossimamente in Italia. Non è solo legato al successo di Lost l'interesse destato da Flashforward, il suo erede designato, che affronta programmaticamente ed esclusivamente questo tema, mentre è legato solo alla totale atipicità del prodotto l'insuccesso dell'eccezionale Kings, che vede - coerentemente con la sua ispirazione biblica - una lotta costante tra l'uomo e Dio proprio in merito al realizzarsi delle profezie. Infine - ma gli esempi potrebbero andare avanti a lungo - sta forse nell'aver colto questo spirito dei tempi il relativo successo di un Defying Gravity, che per altri versi è più 'leggerino' e meno epocale, almeno rispetto ad un pilot di Virtuality, che è grande televisione, ma fuori tempo massimo come tema, e dunque un fallimento prima ancora di essere messo in onda.
Perché Virtuality è fuori tempo massimo, mentre Defying Gravity no, quando sembrano parlare della stessa cosa? Perché il nuovo prodotto di Ron D. Moore ha scelto come tema principale quello che era lo spirito dei tempi alla fine del XX secolo, cioè la fallacia della realtà che percepiamo. Negli ultimi anni 90 tanti prodotti cinematografici e televisivi hanno rappresentato questo zeitgeist: il culmine è senz'altro Matrix, quasi gnostico nella sua sfiducia nei confronti della realtà percepita, ma possono essere tranquillamente citati - tutti usciti nel giro di pochi anni - The Truman Show di Peter Weir, Dark City di Alex Proyas, Abre los ojos di Alejandro Amenàbar, Harsh Realm di Chris Carter... tutti fondati sulla scoperta, da parte dei protagonisti e/o degli spettatori, del fatto che la realtà che percepiscono non è quella vera. Orbene, Virtuality poteva essere il Lost di fine millennio, se solo fosse uscito dieci anni prima.
Qual è stato il momento di passaggio tra questi due temi portanti? Quale l'opera che meglio rappresenta la fine dell'uno e l'inizio dell'altro? Azzardiamo un titolo, per un motivo che sarà chiaro guardando le date e le circostanze per cui è divenuto un cult movie: Donnie Darko. Oltre ad essere un chiaro ispiratore di Lost fino al livello delle scelte registiche, il film di Richard Kelly contiene entrambi i leitmotiv: la realtà che il protagonista percepisce è dubbia, come minimo, e il loop in cui si ritrova (o che crea, secondo alcune letture della trama) è una manifestazione del contrapporsi di libertà e necessità, di caso e finalismo. Ma soprattutto, Donnie Darko è del 2001: il cominciare con un aereo che distrugge una casa non lo ha favorito, nei confronti di un pubblico colpito dalle immagini del 9/11, ed è circolato quasi di soppiatto per alcuni anni, riemergendo grazie al passaparola per assurgere allo status - meritato - di film di culto. L'11 settembre è forse la chiave: la paura, il senso di insicurezza, il desiderio di tornare indietro ed evitare quello che è accaduto (si legga in proposito Stanlio e Ollio, terror detectives di Valerio Evangelisti), lo struggersi per una seconda possibilità, la volontà di trovare un senso in eventi che paiono non averne affatto, tutto ciò ha segnato il mondo occidentale a partire da quella data, e forse è penetrato nelle trame di film e telefilm come ciò che più si accorda con la sensibilità del pubblico odierno. Con lo spirito dei tempi, appunto.

martedì 23 giugno 2009

Das Glasperlenspiel

Ce n'è voluto di tempo, per metabolizzare il pesce alla piastra all'ombra della statua... Fuor di metafora, la scena iniziale del finale di stagione di Lost, The Incident, ha aperto scenari che - sebbene preannunciati e intravisti da tempo - lasciano sconcertati gli spettatori, ora più che mai ansiosi di capire la piega che gli eventi - nel passato e nel presente - prenderanno nella sesta e ultima frazione di una narrazione, che ha raggiunto vette alle quali mai si sarebbe detto una serie televisiva avrebbe potuto puntare. Eppure eccoci qui (here we go again) a disquisire della natura dell'Isola, del senso che potrebbe avere la presenza dei Losties su di essa, e del ruolo (metafisico? fantascientifico? soprannaturale?) che hanno quei due individui - Jacob e il suo antagonista nerovestito - che parrebbero rappresentare i due players di cui già nel pilot parlava Locke, quello vero: one is light, one is dark.

Una soluzione che potrebbe coniugare almeno le due opzioni metafisica e fantascientifica (lasciando fuori il soprannaturale, che risulterebbe un deus ex machina troppo indigesto) è lo scenario che vogliamo chiamare - ipotesi di lavoro - postumano. Lo status postumano ha diverse possibili definizioni, nella letteratura contemporanea: delle tante, ne scegliamo due.

E' postumano ciò che trascende l'umano, a seguito della singolarità tecnologica. La singolarità tecnologica - a sua volta in una tra le definizioni più gettonate - è quel momento della storia umana, nel quale il tasso di sviluppo tecnologico diventa infinito, ossia quell'istante in cui la tangente alla curva dello sviluppo diventa verticale: da lì in avanti, il tempo non viene più misurato nel modo in cui siamo abituati e l'umanità diventa qualcosa di diverso. Pura informazione disincarnata, direbbe Greg Egan - ma è qualcosa che non possiamo nemmeno immaginare, legati come siamo alle nostre categorie classiche: gli autori di fantascienza ne parlano, appunto, in termini informatici, ma solo in mancanza di trascendenti davvero nuovi. Se Jacob e il suo antagonista fossero postumani in questo senso, lo scenario informatico potrebbe ritornare alla ribalta, con il virtuale che diventa - di fatto - il reale della nuova umanità, e con il tempo che perde il suo significato consueto, per essere piegato alle esigenze della disputa che è in corso - e che potrebbe benissimo essere cominciata nel lontano futuro.

Oppure postumano è ciò che diventa l'umano dopo tutte le possibili permutazioni delle sue variabili esistenziali, qualcosa di completamente, definitivamente umano, che si realizza grazie a condizioni spazio-temporali particolari (le proprietà fisiche dell'Isola?). Qualcosa che è descrivibile ancora attraverso le categorie umane, ma solo dopo un tempo, che linearmente può essere visto come infinito, eppure che - avvolgendosi su sé stesso - è contemplabile dall'esterno nella sua interezza. Se Jacob e il suo antagonista sono postumani in quest'altro senso, assomigliano a due giocatori, non già di scacchi - come la somiglianza della scena sulla spiaggia con Il Settimo Sigillo potrebbe lasciar intendere - non già di backgammon - come invece potrebbe evincersi dalla già citata scena tra Locke e Walt - ma del Gioco delle Perle di Vetro di cui parla Hermann Hesse nel romanzo omonimo. Si tratta di un romanzo ambientato in un futuro non meglio precisato, in cui almeno una parte dell'umanità, quella che si raccoglie tra le mura di Castalia, ha raggiunto un grado di sviluppo intellettuale tale da potersi dedicare quasi esclusivamente al gioco che dà il titolo all'opera, una misteriosa pratica combinatoria di tutte le arti e le scienze umane, che esplora tutti i possibili nessi fra i concetti immaginabili dall'uomo, per attingere - questo parrebbe lo scopo del gioco - ad una sintesi superiore e dunque a una conoscenza più completa. Comprendere l'uomo, diventare più compiutamente uomini, attraverso l'iterazione di un gioco sempre più complesso, in un tempo fuori dal tempo: è forse quello che stanno facendo Jacob e la sua nemesi?
Ci piace credere che anche il nostro sia un gioco delle perle di vetro, un piacere intellettuale che esplora però dimensioni profonde della condizione umana; sicuramente lo è quello degli autori di Lost, che connettono le idee, le suggestioni, i contenuti più varii, combinando e scombinando, permutando e riordinando le perle di vetro che poi ci lanciano alla rinfusa.
Ma il tempo sta arrivando, they're coming!

Un modo meno evidente di autodeterminazione del futuro

Nel sistema spaziotemporale in cui la variabile [tempo] ha una natura diversa da quella classica, ovvero linearizzata e progressiva, che siamo abituati a concepire intuitivamente (anzi per eredità filogenetica), in un sistema del genere dunque di nuovo non c’è solo un'interazione crono-causale che prescinde tale principio di linearità – per il quale la causa deve precedere l’effetto – e che in tal modo consente che il futuro contribuisca (in modo effettivamente materiale, corporeo, inviando propri “componenti” indietro nel tempo) a determinare il passato, affinché poi la catena di eventi che ne seguiranno porti a quello stesso futuro; in più c’è anche un’interazione causale inversa di tipo non material-esperienziale, ma psichico-paranormale: il futuro si preannuncia sottoforma di visione, e proprio quella visione permette la realizzazione futura del suo stesso contenuto, che se non si fosse preannunciato non avrebbe potuto poi esistere.
Mentre il primo caso è piuttosto frequente in Lost, e si esplicita senza timori nel momento in cui si assiste a veri e propri skip di viaggiatori temporali nel passato, il secondo caso è meno lampante. In mezzo alle diverse visioni avute da Desmond dopo l’implosione della stazione Swan, che funzionano tutte in modo simile – ovvero Des vede il futuro e, nel caso della morte di Charlie, decide di contrastarlo e provare a cambiarlo – ce n’è una che segue uno schema diverso: la visione confusa che preannuncia a Desmond la catena di eventi che porterà a trovare Naomi appena paracadutata è un presupposto indispensabile alla stessa realizzazione di quegli eventi, compresa la quasi-morte di Charlie (Des anche stavolta non lo lascia morire però lo porta comunque nel punto di morte, affinché si realizzi ugualmente la visione). Senza quella visione, Desmond non avrebbe mai pensato di organizzare quel finto pic-nic e non avrebbe mai saputo cosa fare una volta sulla spiaggia, e quale via seguire nella foresta. Dunque è il futuro che, proprio preannunciandosi, può generare se stesso, attraverso una forma immateriale di interazione causale reciproca con il passato.
Ma questo stesso meccanismo in realtà si era già manifestato in precedenza, quando il veggente Malkin ha visto il futuro di Claire: Malkin, avendo una visione anticipata delle sorti di Claire (probabilmente ha visto Aaron nelle mani di Kate off-island), sapeva che l’unico modo per tenere uniti Aaron e Claire fosse l’isola, e per questo l’ha spinta sull’815 con una scusa, e così anche in questo caso il futuro si è preannunciato nuovamente per autodeterminarsi. Ironia della sorte però, l’isola in tal caso non basterà a tenere uniti Claire e suo figlio. La questione qui è controversa, perchè bisognerebbe chiedersi cosa abbia visto Malkin esattamente, visto che anche sull'isola Aaron correrà non pochi pericoli. Senza però voler indagare le dinamiche narrative, è sicuramente anche questo un caso di interazione immateriale fra futuro e passato.

venerdì 8 maggio 2009

Only fools are enslaved by time and space

E ad un certo punto, tutto mi è parso più chiaro.

Alla fine oramai della fifth season, la frase che per me ha rappresentato un tormentone, ha preso finalmente la sua giusta collocazione, il suo colore appropriato divenendo meno eterea.

“Only fools are enslaved by time and space”; un leitmotiv che mi ha accompagnato costantemente con le mille sfumature che di volta in volta lo show mostrava all’impavido telespettatore.

Oggi finalmente il mio plauso va agli autori che, sebbene siano inevitabilmente incorsi in qualche peccato di presunzione scivolando su alcuni paradossi, sono riusciti comunque a giocare con lo spazio-tempo in maniera tuttavia originale.

Un po’ perchè la storia si dipana mostrandosi mediante due piani temporali in movimento parallelo, ma soprattutto perchè coordinate spazio-temporali contenenti eventi e personaggi si incontrano e si scontrano, svilendo miseramente la percezione lineare del tempo che la nostra condizione ci offre.

E’ così che il mio presente si imbatte nel tuo passato condizionandolo e risolvendolo, creando in te un ricordo di me in anni, ragionando in termini consequenziali, nei quali probabilmente non sarei manco dovuto essere nato; ma affichè tutto ciò accada bisognerà attendere che io nasca e che ad un certo punto del mio “tempo lineare”, coordinate spazio-temporali apparentemente lontane (se seguissimo una time-line) si fondano. Un geniale rincorrersi nella trama del tempo, un grosso cane che si morde la coda, un immenso cerchio.

Badiamo bene però, non si tratta assolutamente di creare ponti di interazione tra due epoche inscritte su di una linea, nonostante gli inganni proposti dalla nostre percezioni; si tratta piuttosto di ammettere che il melting-pot quadrimensionale di Minkowski funziona e senza tenere per nulla conto di quale anno convenzionale sia per noi.

In un contesto simile, parole come time-line, allineamenti temporali, date ed ore perdono completamente significato ed hanno il solo scopo di dare un ordine alle cose secondo le nostre convenzioni ; con ciò non voglio dire che vadano snobbate, non fosse solo perchè ci semplificano i ragionamenti, ma è necessario che si utilizzino queste grandezze con la consapevolezza del fatto che non corrispondano ad una realtà oggettiva o quantomeno alla realtà che muove e ordina i corpi nell’universo.

La stessa sapiente consapevolezza che gli autori hanno fin qui utilizzato creando loop temporali, non solo in termini di probabile reiterazione degli eventi, ma soprattutto in relazione ad eventi “futuri” che condizionano quelli “passati” e viceversa, estremizzando il concetto, fino a condurre John Locke ad agire per “conto terzi” su se stesso.

L’immaginaria linea del tempo viene scomposta in elementi sempre più piccoli, infinitesimali e gli stessi elementi si mescolano tra loro creando situazioni paradossali ma teoricamente possibili secondo i rudimenti di fisica relativistica.

Un invito quindi, ad aprire la mente verso un nuovo concetto di tempo più vicino alla realtà. E’ questo, che a mio parere, rende ancora più unico questo show movie, il tentativo di rendere fruibili concetti e tesi di “nicchia” accessibili di solito ai soli addetti ai lavori, la volontà di divulgare ed in qualche modo di far cultura su argomenti assolutamente ignoti ai più; e tutto ciò partendo da una affermazione che ha il sapore di un monito: “Only fools are enslaved by time and space”.

venerdì 1 maggio 2009

É parte do plano, meu amigo, é tudo parte do plano

All'indomani del finale di Through the looking glass, quando in molti cercavano ovunque flashforward nascosti nelle stagioni precedenti, qualcuno di noi azzardò che la scena conclusiva di Live together die alone, quella con i portoghesi che chiamano Penelope Widmore per annunciare I think we found it, potesse essere il primo, vero ff a cui avessimo inconsapevolmente assistito. La cosa fu ipotizzata senza tema di smentite, attesa l'imperscrutabilità di quel finale, ancor oggi avvolto nel mistero più fitto. L'anno dopo, notata la simmetria tra i finali della terza e della quarta stagione (con There's no place like home che riprendeva il medesimo flashforward, per completarlo e inquadrarlo nel contesto dell'esperienza off-island degli O6), qualcun altro rincarò la dose scommettendo che il finale della quinta stagione, che non dista - per chi scrive oggi - più di tre settimane, avrebbe ripreso, per analoga simmetria, la scena dei portoghesi, per contestualizzare questo flash (back? forward?) finalmente nella cornice di quanto avremmo appreso nel frattempo. Ci si spingeva addirittura a lanciare l'ipotesi che anche il finale della sesta e ultima stagione si sarebbe attenuto a questa modalità simmetrica, riprendendo il flashback finale di Exodus. Ovviamente qui cascava l'asino, in quanto le scene finali della prima stagione - a parte la botola e la zattera - riguardano l'imbarco dei passeggeri sul volo Oceanic 815 - qualcosa che non ha bisogno di inquadramenti e contestualizzazioni, qualcosa su cui pensiamo di sapere tutto, o quasi. Fino a ieri.
The variable è un episodio decisivo non tanto per le agnizioni più o meno previste tra Daniel Faraday, Eloise Hawking e Charles Widmore, non solo per aver chiarito qualche scena che attendeva collocazione (Daniel nel cantiere dell'Orchidea, oppure in lacrime davanti al notiziario del ritrovamento del finto relitto dell'815), quanto e soprattutto per lo scambio di battute tra Faraday stesso e Jack, in cui viene ipotizzato cosa succederebbe se la Stazione Cigno non venisse mai costruita, cosa che Faraday vorrebbe riuscire ad ottenere quello stesso pomeriggio: If I can, then that hatch will never be built, and your plane... your plane will land, just like it's supposed to, in Los Angeles.
La frase assume i contorni della rivelazione mitologica, se solo pensiamo a quello che sta per avvenire, qualcosa che ha sempre di più l'aspetto di una guerra tra le forze del destino e del libero arbitrio - da qualcuno di noi, ça va sans dire, intravista già un anno fa. Poco importa che il dubbio programma di Faraday venga impietosamente interrotto, come è sempre stato, da sua madre: la battaglia sta per iniziare e si svolgerà su più piani temporali, almeno i due (thirty years earlier/after) sui quali ci siamo abituati a seguire le vicende di questa stagione. Due piani che siamo sempre più convinti dovranno comunicare direttamente fra loro, come nel filmato del Dottor Pierre Chang (o come nel racconto Il mercante e il portale dell'alchimista, premio Nebula e Hugo 2008, pubblicato su Robot n. 55, il cui autore porta un nome che pare conferma indiretta della teoria, Ted Chiang). 
Un ruolo importante - probabilmente il vero ruolo di variabile, checché ne pensi il povero Daniel - lo giocherà Desmond, a cambiare qualcosa tra il 1977 e il 2007, che renda incerte le sorti della disputa. E che renda le scene dell'imbarco dei nostri sul volo Oceanic 815 un finale aperto per l'intera serie. Qui vogliamo arrivare: gli autori sostengono da sempre (lo hanno fatto anche in un recente podcast) che sanno già quale sarà la scena finale di Lost, sebbene non abbiano già sceneggiato l'episodio finale. Ora, se a questo aggiungiamo la nozione - risaputa - che il titolo originale della serie doveva essere The Circle, e se diamo per scontato che una scena finale coincidente con l'apertura dell'occhio di Jack sarebbe troppo banale, ci resta un'ipotesi quantomai lineare: l'ultima scena di Lost sarà quella dell'imbarco dei passeggeri del volo Oceanic 815, ma con lo spettatore che non sa se siano destinati a schiantarsi sull'Isola o ad atterrare serenamente a Los Angeles. Tutto ciò, in virtù degli avvenimenti della sesta stagione, che opereranno presumibilmente cambiamenti nel passato, ma senza che vi sia la certezza della vittoria dell'una o dell'altra parte - incertezza che si ripercuote logicamente sul destino del volo 815.
Perché affrettarsi a postare questa teoria, in luogo di un'analisi dell'episodio? Perché cedere ancora alla tentazione della speculazione estrema? Non è per poter dire, poi, c'eravamo arrivati prima noi! Non è per evitare plagi, attribuendo una data certa alle proprie idee. E' perché queste idee, che raramente sono esclusivamente personali e più spesso comunitarie, nella loro ricchezza e profondità, nel brivido che danno a enunciarle e discuterle e commentarle, quale che si riveli la loro fondatezza, possano non andare del tutto perdute nel tempo, come lacrime nella pioggia.

martedì 28 aprile 2009

Here we go

La frase sconsolata di Juliet, che riecheggia analoghe espressioni (ad esempio di Kate, ma anche il titolo del primo post di questo blog), dà il senso di imminente catastrofe che si sprigiona da questo episodio, dal titolo che più geek non si può (sarà da vedere come tradurranno in Italia Some like it Hoth), la cui aura leggera - in quanto dominata dal duo Hurley-Miles - non deve trarre in inganno. Siamo sull'orlo del precipizio e le pedine della guerra più volte preannunciata stanno pian piano disponendosi sulla scacchiera, pronte a darsi battaglia. 
Avevamo invocato il ritorno di Faraday ed eccoci serviti: dal sottomarino proveniente da Ann Arbor ecco sbucare colui che da forse tre anni si è allontanato dall'Isola per attività di tipo scientifico, che riportano nuovamente il focus della nostra attenzione sulle caratteristiche fisiche di quel luogo, che è probabilmente tanto il premio quanto la scacchiera della partita metafisica che si sta segretamente disputando. Adesso manca solo Desmond, il jolly di questa partita, verosimilmente la variabile che dà il titolo al prossimo episodio, il centesimo della serie.
E' una partita che si svolge su più piani temporali, piani tra i quali solo ora paiono intravvedersi i nessi: il primo, e più evidente, è il filmato che era stato proiettato l'estate scorsa al Comic Con di San Diego, con protagonista il Dottor Pierre Chang, e che fino ad ora pareva avere poco senso, se non quello di un divertissement di sfondo alla campagna di reclutamento della ricostituita Dharma Initiative, apparente ennesimo gioco metanarrativo tra una stagione e l'altra.
 

E invece, l'apparizione, nel 2007, di Bram - colui che fa da spalla a Ilana tra i 316ers e che dunque sa cosa giace all'ombra della statua - ci segnala abbastanza chiaramente che una delle fazioni in gioco è proprio la ricostituita Dharma Initiative, che dunque ha trovato il modo di arrivare sull'Isola. Si dovrebbe trattare di una fazione ostile a quella di Widmore, ma il legame con Ben o con Eloise Hawking è tutto da scoprire.
Come è tutto da scoprire il legame tra il circle of trust della Dharma e gli Altri, legame (accordo? alleanza segreta? non certo solo tregua) che consente a Horace, Radzinsky e soci di costruire la Stazione Cigno addirittura in territorio Ostile.  Ricordiamoci che, al termine del countdown della Stazione, appaiono sul display dei geroglifici, che finora siamo stati abituati ad associare agli Altri, non alla Dharma: la Stazione persegue un obiettivo comune?
L'altro nesso tra i due capi del trentennio 1977-2007 sull'Isola sono ovviamente Locke e Ben (nonché Sun), che dovranno poter comunicare nella direzione simmetrica rispetto a quella del Dr. Chang. Ci sono informazioni che dal futuro è necessario che arrivino al passato (almeno, ripetiamo, quella della necessità di costruire una pista di atterraggio sull'Hydra Island) perché ciò che è accaduto sia effettivamente accaduto: non basta che i Losties ospiti di Dharmaville siano ripristinati nel futuro per stabilizzare la timeline. Soprattutto, non è affatto detto che la guerra, quella partita che abbiamo chiamato proxy war, si disputi nel 2007, o comunque all'epoca del crash dell'Ajira 316, che potrebbe benissimo essere avvenuto in un'epoca ancora posteriore.
Infine, un sassolino che gli autori dovranno togliersi dalla scarpa entro pochi episodi: la primissima scena della quinta stagione mostra un Miles piccolino e un Faraday in incognito nel cantiere dell'Orchidea: logica vorrebbe che la scena fosse successiva al ritorno di Daniel con il sottomarino (se n'è andato da tempo - anni - dall'Isola, e al suo ritorno Miles ha solo tre mesi), ma allora perché si finge un operaio in presenza di Chang, se è stato accolto da lui con tutti gli onori poco prima?

mercoledì 15 aprile 2009

Smokey rings*

* Avrei preferito intitolare il post Smokey gets in your eyes, ma l'edizione online di Time mi ha battuto sul tempo. Di una settimana, in realtà. P.

Nonostante il fatto che ogni nuova puntata di Lost ci dia informazioni abbastanza precise sulla storia dell'Isola e sulla mitologia che fa da sfondo allo show, i misteri non cessano di accumularsi. Non si tratta più di misteri sui fatti, bensì sui criteri secondo i quali questi fatti avvengono. Abbiamo già visto come non sia affatto chiaro il perché alcuni passeggeri dell'Ajira 316 siano saltati, a seguito del flash che li ha investiti in volo, mentre altri (in particolare Sun, a tutti gli effetti una degli O6) siano atterrati e si aggirino in un'Isola sicuramente appartenente al futuro - se non altro rispetto al giro di ruota di Ben (il Risiko sul tavolo parla chiaro). Ora il dubbio ci assale - non tanto sulla funzione - quanto sulle ragioni del Fumo Nero, che condannò senza pietà alcuna Mister Eko, mostrandosi sotto le spoglie di suo fratello Yemi, mentre risparmia Ben, agli occhi del senso comune ben più colpevole del nigeriano, presentandosi con l'aspetto di Alex. Anche qui, probabilmente il criterio secondo cui Ben ha fatto tutto per il bene dell'Isola e dunque merita la salvezza è insufficiente, se non del tutto fuorviante. Ancora una volta, se usiamo il metro della dialettica Destino/Libero Arbitrio possiamo provare a capirci qualcosa in più: Mister Eko è fin da subito fideisticamente un uomo del destino, di fatto abbandonandosi - e cercando a più riprese di fare in modo che Locke si abbandoni - a ciò che era supposed to happen. Anche sull'Isola lascia che le cose accadano. Ma se l'Isola volesse invece un atteggiamento attivo da parte di chi la popola? Un atteggiamento come quello di Ben, che non uccide la Rousseau, ma soprattutto non uccide Alex, quando invece erano destinate a morire? Un Ben che paradossalmente sfida ancora il destino, credendo così di salvare nuovamente Alex, questa volta dal proiettile di Keamy. Se l'Isola - di cui Alpert parla, all'epoca della guarigione di Ben, come se fosse indistinguibile da Jacob - volesse che i suoi sfidino il destino, invece di abbracciarlo? Dopo tutto, la terra della seconda possibilità, il regno del possibile, il dominio del libero arbitrio questo vorrebbe: né uomini di scienza né uomini di fede, ma persone che scelgono. Anche Juliet e Kate lo hanno incontrato, il Fumo Nero: sono state scansionate e risparmiate. Perché? Solo perché sono essenziali, nel loro futuro, al passato dell'Isola, oppure - più profondamente - perché sono donne libere, che sceglieranno di salvare Ben bambino, nonostante il destino che lo riguarda e che loro già conoscono?
Tutto ciò, dando per scontato - come siamo stati abituati a fare - che l'Isola abbia una volontà propria, di cui il Fumo Nero è manifestazione. E trascurando il ruolo di Jacob, chiunque o qualunque cosa sia, e il suo nesso con l'Isola e con il Fumo, che parrebbe parlare da pari a pari con Anubi fin dalla notte dei tempi.
A proposito di Egitto, qualcuno ha osservato come la prima volta che abbiamo visto dei geroglifici sia stata quando il countdown della Stazione Cigno raggiunse lo zero nella puntata Lockdown. Ma il counter non è un manufatto della Dharma Initiative? I geroglifici non sono invece qualcosa di preesistente alla Dharma, di cui gli Altri sono i custodi? Perché questa commistione: nel tempo che intercorse tra l'Incidente (fine anni 70) e la Purge (1992), c'è stata qualche forma di collaborazione - clandestina o alla luce del Sole - tra gli Altri e la Dharma? Che c'entrino qualcosa i nostri Losties?
Vale ancora la pena di osservare come l'attenzione si sia spostata, anche tra i fans, dal come certe cose avvengano al perché avvengano in un certo modo piuttosto che in un altro. Questo non deve però farci perdere di vista il fatto che determinati fenomeni (gli skip, il giro di ruota, lo sfasamento temporale on/off-island) hanno un come, eccome se ce l'hanno, e che possiamo ancora cercare di capirlo e augurarci che ci venga spiegato adeguatamente. Faraday, dove sei?

mercoledì 8 aprile 2009

Medice, cura te ipsum

E' proprio quando lo spettatore comincia a pensare che Lost stia diventando prevedibile, che Lost dimostra che è lo spettatore ad essere prevedibile. Prendete la scena tra Hurley e Miles: è stata scritta ben prima che andasse in onda anche solo il primo episodio di questa quinta stagione, eppure rappresenta perfettamente il dialogo tipico tra due appassionati di Lost alle prese con l'intricata matassa dei viaggi nel tempo. 
Da sempre Hurley è il portavoce dei fans: accoppiato al buon Miles dà l'ennesima prova della profonda conoscenza che dei propri polli (leggi: noialtri) hanno Damon Lindelof e Carlton Cuse, che in tempi non sospetti hanno descritto con precisione la dialettica che si sarebbe instaurata tra gli appassionati allorché si fossero confrontati con lo spostamento dell'azione dei protagonisti a trent'anni prima. E anche nel podcast successivo alla puntata, hanno ammesso - senza un riserbo verso le proprie fonti che ormai sarebbe inutile - di aver scelto un approccio alla Terminator o a La jetée (cortometraggio ispiratore de L'esercito delle 12 scimmie), preferendolo a quello di Ritorno al futuro. Un approccio, come già da tempo avevamo intuito, che non introduce paradossi, ma semmai petizioni di principio. Infatti, Sayid è causa del proprio male: è il suo sparo a trasformare Ben, in ultima analisi, in colui che gli avrebbe reso la vita un inferno. Jack stesso è causa del proprio male: il suo non-interventismo fa portare Ben dagli Altri. Kate - al centro di un episodio che finalmente fa amare il suo personaggio - che materialmente lo consegna agli Altri per perdere la sua innocenza, e diventare - ancora - la nemesi sua e degli altri Losties. Tutto ciò è sempre accaduto, né sarebbe potuto andare diversamente. 
Cosa significa l'accenno di Alpert al fatto che Ben non ricorderà nulla? Sarebbe limitativo considerarlo un escamotage per risolvere il dubbio di Miles (perché Ben non ha riconosciuto Sayid, quando lo cattura insieme alla Rousseau?), anche perché basterebbe ipotizzare che Ben abbia solo finto di non riconoscerlo. L'oblìo e la perdita dell'innocenza di cui parla Alpert sono qualcosa di più oscuro e profondo: quello che Ben dimenticherà sarà forse solo il gesto di Kate e Sawyer, magari lo sparo di Sayid, ma tutto il resto è ovvio che non possa essere resettato. Ciò che gli accadrà nel Tempio è la stessa cosa che accade alla squadra della Rousseau, i cui membri non certo dimenticano Danielle, ma prendono a comportarsi in maniera diversa. Ma il Tempio rende schiavi o finalmente liberi? E' la perdita dell'innocenza di Adamo ed Eva, di cui si sta parlando? Quella perdita dell'innocenza che corrisponde al dono del libero arbitrio? Essere uno degli Altri per sempre significa passare al servizio del Libero Arbitrio, liberandosi dalla schiavitù del tempo e dello spazio?
La questione si lega al mistero sull'organizzazione interna degli Altri, i quali - nel 1977 della Dharma - parrebbero guidati da Widmore e dalla Hawking (ammesso che Charles e Ellie siano proprio loro). Alpert però - che da sempre ha l'aria di svolgere una funzione di staff e non di line - sostiene di non rispondere a quei due: di chi è il consulente, allora? Di Jacob? E la sua funzione consulenziale a che livello si svolge? Si direbbe sacerdotale, come l'associazione di idee Richard Alpert - Ram Dass - Servo di Dio - Melchisedec potrebbe avvalorare.
Resta infine il problema del ricongiungimento tra le due vicende on-island, quella del 1977 e del (presunto) 2007, che paiono già essere sottilmente collegate: l'impressione, a livello di intreccio, è che Ben perda i sensi colpito da Sun quando viene colpito dal proiettile di Sayid, e che si riprenda - sotto lo sguardo di Locke - quando Alpert lo introduce nel Tempio. In che modo Ben farà sapere al sé stesso di trent'anni prima che ci sarà da costruire una pista sull'Hydra Island per consentire l'atterraggio di fortuna del volo Ajira 316?

lunedì 30 marzo 2009

The timelines they are a-changin'

Con il più classico dei cliffhanger, Lost ci lascia, al termine della decima puntata della quinta stagione, He's our you, con il dubbio se davvero quel che Faraday sostiene - e che dà il titolo al prossimo episodio, Whatever happened, happened - sia sempre verificato o non sia piuttosto da considerare una pia illusione.
Le auree regole della televisione, in particolare quella americana - secondo cui anche il più apparentemente morto dei protagonisti in realtà non è spacciato - ci fanno propendere per la sopravvivenza del giovane Ben al colpo a tradimento del sempre più disorientato Sayid. Non ultimi, rafforzano questa impressione gli stessi autori dello show, i quali hanno attentamente usato, per tutto il podcast ufficiale seguito all'episodio, il verbo to shoot invece di to kill, lasciando anche intendere che Sayid abbia scritto accuratamente il passato di Ben, che sarebbe diventato quello che conosciamo come uno spietato e spregiudicato manipolatore proprio a causa dello sparo dell'iracheno. Sono in molti poi a sostenere che a prendersi cura del ferito sarà l'amorevole Juliet, della quale l'adolescente si innamorerà perdutamente - e inevitabilmente - e che quindi vorrà anni dopo sull'Isola perché le ricorda... lei stessa (e non la madre, come in molti - schiavi dell'edipically correct - avevano supposto, all'accenno da parte di Harper Stanhope). Ma qui entriamo nel territorio - che sappiamo minato - delle speculazioni gratuite.
Atteniamoci ai fatti, secondo l'approccio che abbiamo sposato finora. Se Ben morisse davvero, che cosa potrebbe significare? Sicuramente non una sparizione istantanea del Ben adulto dall'accampamento dei 316ers, che non si ricorderebbero più di quel passeggero malconcio, venendo la loro storia riscritta senza di lui. Ma non verrebbe riscritta la sola storia di coloro i quali gli erano vicini nell'ultimo viaggio, bensì cambierebbero istantaneamente i ricordi e le vite degli ultimi trent'anni di tutti coloro - e sono tanti - che hanno avuto a che fare con Ben. Troppo Ritorno al futuro: ipotesi da scartare.
E se invece il Ben che conosciamo fosse morto a dodici anni, e dunque già morto nel momento in cui Sayid lo portò al campo, presentandocelo come Henry Gale from Minnesota? Morto tanto quanto è morto Christian Shephard, oppure John Locke, e forse anche Claire: un morto che si ostina a girare molto fisicamente per l'Isola. Anzi, qualcuno che proprio per il fatto di essere morto può vantare un diritto a diventare leader degli Altri. Guardiamo alla parabola esistenziale di Ben e di Locke: entrambi figli prematuri (incidentalmente di due Emily), entrambi sottoposti alla prova del parricidio, entrambi - forse in ragione di queste condizioni - destinati a prendere la guida degli Altri. E se la condizione ulteriore e irrinunciabile fosse quella di morire? Ben l'avrebbe assolta precocemente, e per quello forse Alpert ha creduto di riconoscere in lui il predestinato, all'epoca dello sterminio della Dharma Initiative. L'ipotesi di Ben morto-già-e-non-ancora non vìola comunque la conservazione della timeline, che - pur fondata su petizioni di principio - non viene modificata, ma scritta una volta e per sempre dai suoi protagonisti del futuro. E' sicuramente affascinante l'idea che Ben possa essere sempre stato morto, dacché abbiamo cominciato a seguirne le discutibili gesta. Troppo Sesto senso? Forse no, ma potremo esprimere un parere solo quando capiremo qualcosa in più del criterio con il quale alcuni morti tornano a circolare indisturbati per l'Isola e ad interagire con i vivi - augurandoci risposte meno evasive di quelle di Ron D. Moore a proposito di Kara Thrace (che hanno irritato non pochi fan di Battlestar Galactica).
Ultime note. Al momento del failsafe, erano lontani dalla botola Jack, Kate, Sawyer, Hurley (prigionieri degli Altri), Sun, Jin, Sayid (sulla barca in zona-piedone): che Ben si sia curato di tenerli alla larga dall'implosione proprio perché sapeva che loro sarebbero stati quelli che avrebbero scritto la sua storia? Ma allora quando il piccolo Ben conoscerà Sun? La celebre Purge avverrà quindici anni dopo gli eventi a cui stiamo assistendo - nel 1992, se ipotizziamo che l'Isola non schizzi in avanti nel frattempo. Probabilmente i nostri Losties non la vedranno in diretta, perché qualche incidente, che avverrà prima del 1980 (a giudicare da quanto afferma Pierre Chang, che improvvisamente comincerà a presentarsi con pseudonimi, nei primi filmati di orientamento che abbiamo visto durante la seconda stagione), li riporterà altrove (se non altro nel tempo), magari a ricongiungersi con Sun e i 316ers. Ma in che epoca avverrà questo ricongiungimento?

lunedì 23 marzo 2009

Nama... what?

Nel nostro tentativo di dare forma al grande puzzle che è Lost, con l'ultima puntata, Namaste, troviamo i due pezzi che mancavano alla parte che riguarda gli O6: uno, Sayid, dove ce l'aspettavamo, ossia nei pressi della Flame Station del 1977 (o comunque di quello che off-island è il 1977); l'altro, Sun, dove (cioè quando) non pensavamo di trovarla. Al di là delle didascalie Thirty years later - che ormai rischiano di confondere più di quanto non chiariscano - Sun è atterrata sull'Hydra Island con Lapidus, Ben e Locke, e come loro non è stata affetta dallo spostamento temporale che invece ha colpito (nel flash che anche gli altri passeggeri hanno percepito) gli altri quattro degli O6. 
Prima di passare a chiederci che epoca sia per lei e i 316ers, chiediamoci perché lei - unica tra gli O6 - non fosse destinata all'epoca Dharma. Invocare una clausola di protezione temporale - per cui l'Isola vorrebbe evitare la presenza contemporanea di due Sun su di sé - implicherebbe che lei lì ci sia già stata. In che forma? In quanto piccola figlia Other di un Paik attivo tra gli Ostili a quell'epoca - ma gli Altri parrebbero aver sempre avuto problemi a dare alla luce dei bambini - oppure figlia del dottor Chang - ma allora sarebbe addirittura più giovane di Charlotte (non che Ethan se li porti bene, i suoi anni...)? Difficile sposare, almeno oggi, uno di questi scenari.  Eppure qualche senso questa disparità di trattamento deve avercelo, e non ce la caveremo col dire - come ormai è di moda con Desmond - che lei è speciale...  L'Isola - questa entità che ormai assomiglia più all'Autore che non a un Personaggio - ha una missione da far compiere a Sun, qualcosa che connetta il passato, in cui si ritrovano suo marito e gli altri ex-compagni di sventura, al presente di un'Isola che appare popolata di fantasmi e mostri e sempre più svuotata di esseri umani. Sun sarà l'ennesimo deus ex machina che l'Isola-gattopardo userà per cambiare tutto affinché nulla cambi? Un nuovo giro di ruota, forse. 
Ma poi, qual è questo presente? Se fino a qualche puntata fa si poteva supporre che l'Ajira 316 fosse atterrato nello stesso giorno in cui era partito - e dunque in qualche data tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 - dopo aver visto il repentino passaggio dalla notte al dì durante la fatale turbolenza, e aver udito per un attimo i numeri alla radio di bordo, ebbene, non possiamo più supporre alcunché. Che futuro è quello in cui i locali dell'accoglienza reclute presso il molo sono distrutti, il Fumo Nero si aggira indisturbato, Christian Shephard mostra foto alla Shining e una donna bionda (Claire?) si intravede nell'oscurità? Quanto tempo è passato dal giro di ruota di Ben? C'è già stata la guerra preannunciata da Widmore a Locke? Lo capiremo meglio se e quando vedremo qualche Other interagire con Sun e i suoi coevi. 
Intanto rimane il mistero di Christian, vivo e morto allo stesso tempo - oppure mai morto davvero: il mistero è lo stesso della apparente resurrezione di Locke, ed è qualcosa che riguarda la fisica quantistica, non certo le guarigioni miracolose. Una fisica quantistica che per una licenza poetica viene presa alla lettera, parlando di una scatola chiusa dove un gatto è contemporaneamente vivo e morto. L'osservatore, nell'esperimento/paradosso di Schrödinger, determina lo stato di vita o di morte del gatto, stato che è indeterminato (una mescolanza dei due, in realtà) finché questo osservatore non apre la scatola. Se Christian è il gatto, chi è allora l'osservatore?

domenica 15 marzo 2009

Jump like an egyptian

La linearità della narrazione pareva essere diventata merce rara, in Lost, e qualcuno cominciava a sentire la mancanza di un episodio davvero character-driven. Puntuali come solo gli autori di Lost sanno essere, ecco che ci servono allora una puntata che può aspirare ad essere tra le migliori di tutta la serie, oltre che agevolmente tra le migliori della quinta stagione finora, per lo sviluppo e la credibilità della relazione tra personaggi. 
LaFleur è però anche un limpido esempio di come si possa esser chiari e facilitare la comprensione di quanto sta accadendo a livello di timeline e di skip temporali, senza bisogno di infodump un po' spiazzanti come quello della signora Hawking. E' bastato infatti far dire ai nostri skippers che l'ultimo flash era qualcosa di diverso dai precedenti, per confermarci nell'ipotesi - formulata un po' di tempo fa - secondo cui skip e giri di ruota sono fenomeni distinti. 
Il giro di ruota di Locke, effettuato in un'epoca remota in cui la statua dal piede a quattro dita era ancora intera e rappresentava qualche divinità egizia (un'epoca dunque in cui l'eyeliner andava di moda... singolare che Richard Alpert non sia inquadrato preferibilmente di profilo), ha avuto due effetti:
- scagliare Locke nella Tunisia del 2008;
- spostare - per l'ultima volta - i vari Sawyer, Juliet, Daniel, Miles (ma non il cadavere di Charlotte) in quello che gli abitanti di Dharmaville ritengono essere il 1974.
E' lecito supporre che lo stesso giro di ruota abbia spostato l'isola, analogamente a quanto fatto dal giro di ruota di Ben? La cosa è plausibile, ma il quando (e dove, se non vogliamo escludere spostamenti anche nello spazio) l'isola sia stata spostata è un problema per future speculazioni, in quanto è qualcosa sicuramente di scollegato da ciò che avviene ai Losties, a Locke e agli O6.
Gli O6 (in realtà intendendo con questa sigla ancora solo Jack, Kate e Hurley) sono apparsi sull'Isola in quello che - secondo la cronologia on-island della Dharma Initiative - è il 1977, ma per effetto - vale la pena ripeterlo ancora una volta - di un flash diverso da quelli corrispondenti agli skip a cui abbiamo assistito, poiché:
- gli altri passeggeri del volo 316 lo hanno percepito;
- non ci risulta alcun giro di ruota o skip nel momento del nuovo crash.
E' proprio vera quest'ultima affermazione? No, se ipotizziamo che quel flash corrisponda alla riapparizione dell'Isola dopo il giro di ruota di Ben. Se Ben ha spostato l'Isola nel futuro, per esempio di tre anni, questa potrebbe essere riapparsa con lo stesso flash che abbiamo visto alla fine della quarta stagione, ma senza i nostri Losties, in quanto già partiti per i loro skip. Chi resta sull'Isola per assistere a questo nuovo crash? Gli Altri, naturalmente, che hanno visto scomparire Locke davanti ai loro occhi, appena tornato dall'Orchidea, e se lo vedono atterrare col volo 316 sull'Hydra Island. Vivo. Per loro, il nuovo leader non è mai morto, non c'è discontinuità - né temporale né di esistenza in vita - tra il Locke vivo che accolgono e il Locke vivo che torna. Paradossalmente, non c'è discontinuità nemmeno per il Ben che gira la ruota e il Ben che atterra in fin di vita: per gli Altri on-island, gli eventi di tre anni off-island sono istantanei.
Ripetiamo: solo nell'ipotesi che il flash che si vede dal volo 316 (e che spedisce nel 1977 Dharma gli O6 per motivi che ancora rimangono difficili da spiegare) sia il segnale di riapparizione dell'isola dopo il giro di ruota di Ben. Ma è un'ipotesi sufficientemente economica che può essere azzardata, in questo momento della vicenda.
Se immaginiamo che i giri di ruota (almeno quelli effettuati in senso orario) spostino l'Isola sempre nel futuro, saltando a piè pari interi periodi di tempo off-island, dobbiamo concludere che il tempo che vive un abitante dell'Isola può coprire periodi anche molto lunghi di tempo off-island, scavalcati ad ogni giro di ruota. E' per questo che è necessario essere prudenti quando si danno delle date, sull'Isola: per la Dharma è il 1974, quando Sawyer e compagnia arrivano, ma ha senso dire che quello è il 1974, sull'Isola? No, ha piuttosto senso dire che in quel periodo l'Isola è allineata con il 1974 off-island, ma per l'Isola - in parole povere - potrebbero essere passati molto meno di 1977 anni da quando era allineata con l'anno di nascita di Gesù Cristo. 
E' una sensazione, ma potrebbe darsi la regola che i giri di ruota avvengano quando non ci sono altro che Altri, sull'Isola: gli unici osservatori autorizzati ad assistere allo spostamento parrebbero essere i Nativi e coloro che hanno accolto, negli anni. Che la crudele Purge sia stata perpetrata ai danni della Dharma Initiative anche per eliminare testimoni scomodi a questo fenomeno prodigioso? Assisteremo quindi ad un nuovo giro di ruota tra la Purge e il crash dell'815? Questa è probabilmente un'idea fin troppo azzardata. Quel che logica vorrebbe è, comunque, che interi tratti di tempo off-island siano scavalcati dal tempo on-island ogni volta che la ruota viene girata. Intere epoche del mondo che conosciamo, per gli abitanti dell'Isola, potrebbero essere trascorse in un solo battito di ciglia. Con l'eyeliner, naturalmente.

sabato 28 febbraio 2009

They came in through an event window

Con l'episodio The life and death of Jeremy Bentham abbiamo maggiori informazioni sugli spostamenti spazio-temporali dei nostri protagonisti, ma anche qualche dubbio in più.
Appurato che Locke è stato sbalzato nello stesso luogo di Ben, ma in un tempo diverso, apprendiamo che il suo tentativo di convincere gli O6 a tornare è stato molto più breve di quanto potessimo immaginare, proprio a ridosso del we have to go back del finale della terza stagione (databile a questo punto inizio 2008). La cosa stride alle orecchie di chi si era immaginato tre anni, e non pochi giorni, di tentativi da parte di Locke - un po' come avvenne l'anno scorso con Meet Kevin Johnson, in cui si scopriva che l'andata e ritorno di Michael aveva davvero del fulmineo, soprattutto tenuto conto di tutto quanto gli capita off-island. Esigenze di compressione narrativa o qualcosa ci sfugge? Non sorprendiamoci se la seconda si rivelasse l'ipotesi giusta... quando si parla di tempo, in Lost, qualcosa ci sfugge sempre.
Scopriamo poi che la bravura di Lapidus ha portato il volo Ajira 316 ad un atterraggio di fortuna sulla seconda isola, dove ha sede l'Hydra, poco dopo un flash che ha fatto letteralmente sparire alcuni dei passeggeri (per ora sappiamo di Jack, Kate e Hurley - dubbi su Sayid e Sun). Il flash è chiaramente uno di quelli che spostano lungo la storia dell'Isola alcuni personaggi, e infatti i tre scomparsi riappaiono negli anni 80 della Dharma, a giudicare dal pulmino e dalla tuta di Jin.
Evidentemente i Losties che skippavano qua e là nei primi episodi (Juliet, Miles, Faraday, Charlotte, Sawyer, Jin, non più Locke) in quell'epoca ci sono arrivati ben prima, per consentire a Jin di ambientarsi così bene: non è dunque lo stesso flash a condurre i Losties dal passato e gli O6 (continuiamo a chiamarli così, anche se per ora ne abbiamo solo tre) dal futuro in quell'epoca.


Possiamo schematizzare gli ultimi salti come segue, e come nel disegno quassù:
- Locke, nel lontano passato dell'Isola (il pozzo non è stato ancora costruito, ricordate?) muove la ruota e viene scagliato nella Tunisia del 2008;
- lo stesso movimento di ruota sposta i Losties nel 1980 dell'Isola, dove si stabilizzano, con almeno Jin che viene assoldato dalla Dharma;
- Locke non riesce a convincere gli O6 a tornare e viene ucciso da Ben, tutto nel giro di pochi giorni del 2008 off-island;
- gli O6 in qualche modo vengono assemblati da Ben sul volo Ajira 316, insieme al cadavere di Locke e partono verso Guam;
- un fenomeno elettromagnetico costringe Lapidus a un atterraggio di fortuna sull'Hydra Island, in quello che è una non meglio identificata epoca per l'Isola;
- durante il fenomeno, un flash analogo a quello degli skip sposta gli O6 (ma non Locke, Ben e Lapidus) nell'epoca Dharma in cui sono stanziati i Losties.
Qual è l'origine di questo flash? Non è uno di quelli che caratterizza gli skip precedenti, per due motivi:
- gli skip si dovrebbero essere fermati con l'intervento di Locke alla ruota;
- il flash viene percepito anche dagli altri passeggeri del 316, cosa che accade solo ai giri di ruota, non agli skip intermedi (cfr. il post Cookie Desmond)
Gli O6 sono stati effettivamente tre anni off-island, ma da quando sono partiti gli skip all'arrivo di Locke nell'Orchidea, i Losties hanno vissuto solo quattro giorni, lo dice Locke stesso a Widmore. D'altra parte, non sappiamo quanto tempo siano stati nella Dharma, al momento del ritorno di Jack, Kate e Hurley, ma potrebbe essere stato un tempo non particolarmente lungo: giusto il tempo di farsi assumere.
Resta da capire invece gli altri 316ers in che epoca siano atterrati: potrebbero non essere passati nemmeno in questo caso
tre anni, sull'isola, dal giro di ruota di Ben all'atterraggio del 316. Anzi, per economia di ipotesi, potremmo immaginare che 
il flash colto in volo sia quello che segnala la riapparizione dell'isola dopo il giro di ruota di Ben, e dunque l'event window calcolata dalla Hawking. In tal caso, off island è il 2008, ma on island i sopravvissuti del 316 si ritrovano immediatamente dopo l'inizio degli skip dei Losties.
Per prudenza non affermiamo che si tratti dunque del 2005 on-island, perché questo procedere dell'Isola a salti può aver disallineato ormai da tempi remotissimi il tempo on-island con quello off-island, e l'Isola aver attraversato intere ere umane in pochissimo tempo proprio
Il procedere a salti ha del resto più del quantistico che del relativistico, e forse un celeberrimo topos quantistico potrebbe essere la spiegazione dell'apparente resurrezione di Locke: pensiamo al gatto di Schrödinger, che è vivo e morto contemporaneamente finché non viene osservato, finché non viene aperta la scatola in cui si trova. Una scatola, in cui tutte le possibilità sono equiprobabili: la scatola di Schrödinger, appunto.
Riascoltiamo Ben in The man from Tallahassee:

Picture a box. You know something about boxes, don't you, John? What if I told you that somewhere on this island, there's a very large box... and whatever you imagined, whatever you wanted to be in it, when you opened that box, there it would be. What would you say about that, John?
Fossimo John Locke, diremmo che l'Isola è una grande scatola di Schrödinger.

martedì 24 febbraio 2009

Proxy war

L'ultimo episodio, 316, ha mostrato come fosse azzardato anche solo aggiungere una ipotesi a quelle elaborabili alla fine del precedente, poiché tutto ciò che si era pensato di dedurne si è rivelato fallace: gli O6, con la significativa eccezione di Aaron, si sono ritrovati a bordo dell'aereo fatale tutti insieme, senza aver bisogno di una seconda chiamata, e soprattutto senza bisogno di ulteriori giri di ruota e/o event windows rispetto a quelle già disponibili. Insomma, il rasoio di Occam rimane ancora l'arma migliore per sezionare Lost, e quando ce lo dimentichiamo gli autori ci richiamano perentoriamente all'economia di ipotesi. Economia di ipotesi che viene nuovamente messa a dura prova dall'ultima scena, in cui un Jin in tuta Dharma scende da un pulmino VW T2 come nuovo e si imbatte in tre dei Losties mancanti. Ebbene, se l'ultima volta ci eravamo illusi che la finestra aperta nel 2008-off-island si aprisse sugli inizi del 2005-on-island, dobbiamo ricrederci e resettare tutte le nostre ipotesi, perché gli O6 si sono risvegliati in quello che ha tutta l'aria di essere uno dei dharmici anni 80-on-island. E' necessario attendere la prossima puntata, The life and death of Jeremy Bentham, per poter collegare quanto accaduto in quota al volo Ajira 316 a ciò che accade sottoterra a Locke, all'atto di stabilizzare e/o di girare la ruota (il secondo e/o, qui, è come minimo prudente). Non è un caso che gli episodi 5x06 e 5x07 fossero stati originariamente concepiti in ordine inverso, per poi gli autori propendere per la successione che stiamo sperimentando: probabilmente la narrazione sarebbe stata troppo lineare, e non ci avrebbe lasciato i dubbi che invece oggi ci ritroviamo. Salomonicamente, attendiamo ulteriori indicazioni dall'Orchidea per sbilanciarci in nuovi modelli teorici che possano spiegare coerentemente i fatti.
Eppure, nella suggestiva cornice della stazione The Lamp Post, la signora Hawking si è prodotta in un infodump come non se ne erano mai sentiti in Lost: la cosa ha disorientato molti, forse addirittura ha infastidito qualcuno per la didascalicità dell'esposizione della maestra di turno. Forse si è solo trattato di un montaggio e di una recitazione particolari, che poi hanno caratterizzato tutto l'episodio, conferendogli un'aura trasognata, surreale, per certi versi lynchiana nel disagio e nello straniamento che ha suscitato negli spettatori. Ma forse si è trattato piuttosto di un'indicazione deliberata da parte degli autori (in quest'episodio anche in veste di sceneggiatori, si badi), che ci hanno voluto dire qualcosa sulla natura della storia, e non solo dell'Isola. Prendete la frase di Desmond:
These people--they're just usin' us. They're playing some kind of game, and we are just the pieces.
Un'ovvia metafora della vicenda dei protagonisti, o qualcosa di più letterale?
Oppure prendiamo quanto dice la Hawking a proposito della necessità di ricreare le condizioni del volo Oceanic 815, dando a Locke qualcosa di Christian Shephard:
He is going to help you get back. John is going to be a proxy. A substitute.
Ridicolo, dice Jack - echeggiando Faraday nell'episodio precedente, che non trovava alcun fondamento scientifico nel voler tutti di nuovo sull'Isola per fermare gli skip:
It does make empirical sense that if this started at the Orchid then that’s where it’s gotta stop. But as far as bringing back the people who left in order to stop these temporal shifts? That’s where we leave science behind. 
Ed è dove i più razionali di noi spettatori hanno storto il naso: gli autori ci stanno chiedendo un leap of faith identico a quello dei personaggi. Arrivati a questo punto, non si può che concederglielo, e osservare che il termine proxy, oltre all'ovvia assonanza informatica (sulla quale ometto deduzioni illegittime), evoca immediatamente il concetto di proxy war, guerra per procura, quel tipo di conflitto affrontato per interposta persona, esplicitamente o implicitamente. Si può pensare al conflitto Iran-Iraq o alla Guerra Civile spagnola, ma gli scacchi possono essere considerati la massima astrazione di una proxy war. Pedine in un gioco più grande di loro, i nostri Losties devono ritrovarsi tutti sulla scacchiera dell'Isola per il confronto finale, e devono ritrovarcisi in determinati ruoli. Questa partita a scacchi non usa però i pezzi classici - torri, cavalli, alfieri, re e regine - bensì un cadavere in una bara, una futura mamma, un fuggiasco ammanettato, una rockstar, una moglie in pena, un uomo pieno di dubbi con una lettera in mano... e così via.
Il perché di tutto questo, più ancora del come... alla fine del prossimo salto. Forse.

domenica 15 febbraio 2009

Let's get started

L'approccio che cerchiamo di tenere su questa lavagna è il più possibile fattuale, cercando di evitare voli pindarici e teorizzazioni spinte, che portano un po' dove l'estensore vuole, e che tendono a discostarsi progressivamente - e illegittimamente - dalla materia narrativa. Cercando però di capire cosa stia succedendo sull'isola e fuori, nel 2004/05 e nel 2007/08, è inevitabile aggiungere qualche tassello arbitrario al puzzle, soprattutto dopo una puntata - come This place is death - dove la situazione si fa quantomai fumosa
Il dubbio precipuo riguarda l'atteggiamento enigmatico di Eloise Hawking alla fine della puntata, allorché pare piuttosto soddisfatta del magro bottino di Ben, che ha portato solo una minoranza degli O6 al punto di raccolta, quando solo pochi giorni prima dava per tassativa la necessità di averli tutti a rapporto entro 70 ore. E non credo si tratti del solo fatto di aver ottenuto senza colpo ferire anche Desmond.
Orbene, questa event window, che la Hawking individua col suo fido Apple 3 alla fine di The Lie, parrebbe essere una finestra temporale in cui l'Isola torna accessibile con mezzi convenzionali (se tali possono essere chiamati quelli che usano Alpert e compagnia per spostarsi tra on e off-island). Perché l'Isola torna accessibile? Perché - è questa l'ipotesi che formuliamo senza fatti a supporto - il giro di ruota di Ben l'ha spostata nel futuro.
Durante il filmato di orientamento della Orchid - che Locke guarda mentre Ben accatasta oggetti di metallo nella cella - prima che la cassetta si riavvolga, il dott. Halliwax descrive un esperimento di spostamento di conigli avanti nel tempo, di pochi millisecondi: dice, appena prima del rewind, che il coniglio sembrerà sparire, per poi... Ecco, l`isola potrebbe essere stata spostata - non nello spazio tridimensionale - ma solo nella coordinata temporale di qualche anno in avanti. Ad un osservatore esterno, alla fine del 2004, scomparirà, perché lui segue la sua retta (nello spazio quadridimensionale) parallela all`asse del tempo, mentre l`Isola ha una discontinuità, e riappare - sempre lì - qualche anno dopo, magari all'inizio del 2008. Tra la scomparsa e la riapparizione, l`osservatore off-island non vede l`Isola, perché è sempre lì, ma più avanti nel tempo. Cosa succede a questo osservatore che pazientemente passa tre anni sul luogo dove prima c'era l'Isola? L`Isola gli riapparirà, e quelli sull`isola staranno facendo esattamente le cose che facevano al momento del giro di ruota. Questo significa che l`Isola perde tempo rispetto al fuori, perché per lei è ancora il giorno 100 post-crash, 30/12/04, mentre per il mondo esterno è passato qualche anno.
Ora, perché parliamo di finestra di eventi? Perché - nuova ipotesi di lavoro - per poter tornare sulla terraferma, Locke - dopo averla fermata, arrestando gli skip - gira di nuovo la ruota, come Ben, e dà di nuovo il via ai salti. Eloise Hawking deve essere consapevole di questo, cioè sa quanto tempo passa tra la riapparizione e la nuova sparizione dell'Isola, quanto dura questa event window di cui ha calcolato l'apertura 70 ore dopo The Lie.
Riassumendo, avremmo, sull'Isola:
- giro di ruota di Ben
- skip dei Losties
- arresto della ruota da parte di Locke
- stop agli skip dei Losties - apertura della event window
- giro di ruota di Locke - chiusura della event window
- ripresa degli skip dei Losties
Dal punto di vista off-island, tra i due giri di ruota passano qualcosa come tre anni, mentre sull'Isola passano solo pochi giorni: la cosa affascinante è che, in un certo senso, Locke è sia sull'Isola che fuori, perché vive quei pochi giorni skippando nella storia dell'Isola, ma dopo il suo giro di ruota passa quasi tre anni off-island a cercare di convincere i suoi compagni a tornare sull'isola sfruttando la finestra che lui stesso aprirà/ha aperto! Sta qui forse il senso del suo "dover morire": il suo sacrificio off-island è necessario per preservare l'unicità della timeline che sta scrivendo on-island.
Perché allora la Hawking è così serena, adesso? Perché pensa di potersela cavare in due viaggi, invece che con uno solo? Forse perché nel frattempo ha calcolato quando si riaprirà una nuova event window? Che sia quello il momento in cui i portoghesi percepiscono l'anomalia elettromagnetica di cui ci chiediamo l'origine fin dalla fine della seconda stagione? E' stato quello il primo vero flashforward a cui abbiamo assistito? Ne vedremo la ripresa alla fine di questa stagione, per una fearful symmetry come quella tra terza e quarta? Solo il tempo, che mai come in Lost è galantuomo, ce lo dirà.

venerdì 6 febbraio 2009

Cookie Desmond


Nuove tessere si aggiungono al mosaico: cerchiamo di guardarlo un po' da lontano, così da poter cogliere almeno un'idea del disegno principale.
A livello di fenomeni, apprendiamo, durante la 5x04, che la luce accecante che caratterizza il time-skipping dei Losties viene percepita solo da loro, e non da coloro che incontrano nelle varie epoche dell'isola. Non era chiaro, finora, un po' perché spesso sono da soli, al momento del salto, un po' perché le scelte registiche si sono tenute sul vago. Ad esempio, a riguardare la scena di Locke che parla nel 1954 con Alpert, non è scontato che quest'ultimo colga l'effetto purple sky. Mentre è evidente che Kate e Claire non lo colgano, sebbene concentrate su qualcosa di molto più... accecante. Gli Others lo percepiscono al momento del giro di ruota di Ben, ma forse perché è proprio l'evento che dà inizio al peregrinare dei nostri e non uno dei salti intermedi. Più dubbia la condizione di Desmond nella botola, che dà proprio l'impressione di accorgersi che stia per accadere qualcosa mentre Daniel gli intima di andare a cercare sua madre. Ma Desmond è speciale, viene detto a più riprese: che cosa può voler significare? Lo vediamo fra un attimo.
Intanto, la percezione asimmetrica del cielo viola è coerente con il criterio della course correction: il fatto che nessuno colga la luce, se non chi salta, minimizza il rischio di modifiche della storia e preserva l'unitarietà della timeline. Sawyer non si mostra a Kate: l'integrità di quella notte memorabile (e che bello riviverla, da spettatori!) è salva. Come di fatto è salva anche l'integrità della storia della Rousseau, per il semplice fatto che tutti coloro che Jin incontra sulla spiaggia sono ormai morti, e dunque non ci sono più coscienze su cui fare il reboot con nuovi ricordi: non ha senso porsi il problema del perché allora, in tutte le sue apparizioni, Danielle non dia segno di riconoscere Jin. Al di là del fatto che si sono incrociati davvero poco (credo non abbiano mai scambiato una parola, in quattro stagioni), il corso principale degli eventi rimane uguale, eventualmente con qualche sovrascrittura da parte dei Losties - magari qualche nuova petizione di principio, ma nessun paradosso.
Suona tutto molto conveniente, vero? I salti sembrano tutto fuorché casuali, quasi il gioco di un'intelligenza superiore, di qualcuno che guarda da fuori il grande disegno. Narrativamente è proprio così: gli autori si stanno divertendo a mettere i protagonisti in situazioni particolari, là dove avremmo - noi spettatori - sempre voluto essere o tornare: alla mia wishlist mancano l'arrivo della Black Rock, l'arrivo di Henry Gale e l'epoca in cui la statua del piedone a quattro dita era ancora intera. Ma credo sia solo questione di tempo.
Ma se questa intelligenza fosse parte della storia? E se questa intelligenza avesse inserito nello scenario una figura speciale, che consente di modificare le cose, o meglio di conservare memoria dei cambiamenti apportati lungo la timeline? Una specie di cookie che, in ogni epoca della sua esistenza, registri traccia della configurazione esperita... e magari degli altri soggetti incontrati? Ecco, questo cookie potrebbe essere Desmond, la cui consapevolezza procede per accumulazione e non per sostituzione di informazione, e dunque consente modifiche, ripristini e controlli di coerenza a volontà. Parrebbe però uno strumento inconsapevole, conteso tra le forze in gioco: la Hawking, nella 3x08, gli dice che sull'isola ci deve andare; Widmore, nella 5x03, gli intima di tenersi fuori da un gioco più grande di lui. Chi lo ha inserito nello scenario? Ma soprattutto, uno scenario così potrà non essere metanarrativo, non è certo immaginario, ma siamo sicuri che sia materiale e non piuttosto informatico?

domenica 1 febbraio 2009

Petizioni di principio




Tentiamo di dare una qualche sistematicità ai fenomeni osservati. 
Fino alla fine della quarta stagione, abbiamo incontrato tre soli tipi di apparente spostamento spazio-temporale, rispetto all'Isola.
1. un qualche sfasamento tra on- e off- island che dà luogo a:
 1.1 discrepanze nella datazione dell'arrivo sull'Isola di Juliet
 1.2 discrepanze nella datazione del concepimento di Ji Yeon da parte di Sun
 1.3 un incongruo risultato dell'esperimento del razzo condotto da Faraday
 1.4 l'arrivo sull'isola del cadavere del dottore della Kahana, prima che egli venga ucciso a bordo
2. dislocazione temporale della coscienza di chi si muove da e per l'isola al di fuori di certe rotte 
preferenziali, come:
 2.1 Desmond del 1996 che opera nel suo corpo del 2004 per trovare la propria costante
 2.2 Minkowski vittima della sindrome *unstuck in time*
 2.3 (per analogia) il topolino Eloise che opera nel suo corpo di qualche giorno prima per trovare la strada nel labirinto di Faraday e morire di lì a poco
3. spostamento dell'Isola, e di quanto la circonda entro un certo raggio, causato dal giro di ruota di Ben, che a sua volta viene sbalzato nel tempo e nello spazio - associabili intuitivamente a: 
 3.1 orsi polari sbalzati in Tunisia
 3.2 conigli Dharma spediti pochi millisecondi nel futuro
I primi due fenomeni - allo stato attuale delle nostre conoscenze - possono essere legati alle proprietà elettromagnetiche dell'Isola, che potrebbero simulare un sistema di riferimento in moto relativistico rispetto all'esterno - oppure curvare lo spazio come attorno ad un buco nero (magari rotante). Il terzo fenomeno, però, chiama in causa la fisica quantistica e la materia esotica, anche in virtù delle parole del dr. Halliwax (alias di colui che oggi sappiamo chiamarsi dr. Chang), che evocano l'effetto Casimir e dunque qualcosa di più complesso di una banale curvatura dello spaziotempo.
Abbiamo dunque spostamenti della coscienza, del corpo e di intere porzioni di realtà, che però paiono salvare le apparenze di una storia priva di paradossi, e addirittura preservare l'unitarietà della timeline, magari attraverso istantanei reboot delle coscienze dei soggetti coinvolti.
Tutto ciò, fino alla fine della quarta stagione, dicevamo.
Ci troviamo oggi, inizio della quinta stagione, di fronte ad un quarto e distinto fenomeno, che prende l'Isola come sistema fisso (potremmo dire, coscienti dell'improprietà, come spaziotempo assoluto) e che vede i Losties superstiti, insieme a Juliet, Faraday, Charlotte e Miles, venire sbalzati con il corpo in diverse epoche della storia dell'isola. L'espediente narrativo è eccezionale nella sua originalità: non più flashback, non più flashforward, bensì la visione, anzi la partecipazione in diretta, dei protagonisti agli eventi del passato dell'Isola (e magari, non lo sappiamo ancora con certezza, del suo futuro). Ma qui sorgono dei seri problemi, perché vediamo Alpert dare a Locke una bussola che in un momento diverso (futuro per Locke, passato per Alpert) servirà da segno di riconoscimento tra i due, allorché Locke comunicherà agli Others del 1954 che sarà il loro futuro leader. Non siamo di fronte ad un paradosso - almeno non ancora - ma incontriamo quella che in logica si chiama una petizione di principio, ossia l'includere tra le premesse l'affermazione della verità delle conclusioni. Più o meno l'opposto di una dimostrazione per assurdo. In altre parole, una dimostrazione fallace, non valida.
Siamo di fronte ad un ciclo di azioni auto-necessitanti, che danno a loro stesse la propria ragion d'essere: lo scopo apparente è quello di salvaguardare la coerenza della timeline, per cui ciò che doveva accadere è accaduto e non si può cambiare. Seguendo questa logica, staremmo assistendo ad una sovrascrittura della realtà che però non cambia il corso principale degli eventi, un po' come il corso del fiume di Paradiso XVII, 37-42
La contingenza, che fuor del quaderno 
de la vostra matera non si stende, 
tutta è dipinta nel cospetto etterno; 
necessità però quindi non prende 
se non come dal viso in che si specchia 
nave che per torrente giù discende.
C'è da chiedersi innanzitutto di chi sia il viso dell'osservatore che conosce il main course, da cui non ci si può allontanare, ma che non lo condiziona. 
Ma poi c'è da chiedersi anche, prima di questa riscrittura ad opera dei Losties e annessi - prima in senso assoluto - chi abbia fatto avere ad Alpert la bussola, e soprattutto chi abbia convinto Alpert che Locke fosse il leader predestinato. Perché possiamo anche apprezzare l'eleganza degli autori nel giocare sul filo del paradosso, ma una totale e letterale autoreferenzialità rischia di far implodere ben più della stazione Cigno.

lunedì 12 gennaio 2009

Here we go again

Immaginate una lavagna piena di appunti. Che parlano di relatività, fisica quantistica, viaggio nel tempo e censura cosmica. Immaginatevi uno studio, polveroso, pieno di libri e strani strumenti, e un occupante ancora più strano. Dinoccolato, impacciato, geniale.
Siete nello studio di Daniel Faraday, fisico a Oxford, e questa è la sua lavagna. 
Troverete appunti postati da più persone, che il caso (o il destino?) ha fatto incontrare su un'isola virtuale, che le vicissitudini di un anno hanno fatto migrare, novelli Oceanic Six, verso altri lidi, e che oggi - come in un loop - si trovano a sperimentare un nuovo (ma già vecchio) sistema di comunicazione con il mondo esterno. Dopo la mail, il forum, un tentativo di wiki, eccoci su un blog.
Per definizione un work in progress, con una meta ancora nota a pochi, ma che - comunque vada - è valsa il viaggio. 
E' un omaggio, forse eccessivamente dotto, forse degno di miglior causa, al serial che ha cambiato - poco o tanto - le nostre vite: LOST.
Stay with us, stay Lost!

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