lunedì 9 agosto 2010

Spin off, il mondo dell’apocrifo

Tutto ciò che ruota attorno ad un'opera e ne contribuisce, sia pure in minima parte, al successo, in fondo chiede di sopravvivere. E ancora: quante volte non ci capita, specie nel contesto televisivo, di pensare che quell’attore (sopravvissuto) l’abbiamo già visto in azione, magari in un ruolo minore, nella nostra opera preferita? A me è capitato – visto che anche Lost ama citare le Serie statunitensi – rivedendo in azione l’ormai compianto Paul Benedict, l’Harry "Bentley" (tanto per rimanere sul “filosofico”) della fortunata sit-com The Jefferson: lui per me continua a vivere in “quel” personaggio” e tutto ciò che gli sopravvive, senza continuarne la vicenda, mi pare… apocrifo!

Meno prosaicamente, fin dall’Amleto di Shakespeare tutti gli spettatori più attenti si sono chiesti quale fine potessero aver fatto Rosencrantz e Guildestern tanto che, se proprio lo vogliamo, la loro vicenda è diventata il prototipo del concetto dell’odierno spin off. Tom Stoppard, in particolare, non si è fatto sfuggire l’occasione di raccontarcene l’epilogo, grazie alle memorabili dispute verbali in atto tra questi due personaggi, risultati tanto marginali quanto determinanti per lo sviluppo della tragica vicenda (tenteranno di tradire e in fondo di contribuire alla morte di Amleto, ma il destino seguirà altra strade…). A ben vedere, la moltiplicazione infinita delle storie ha origini ben più antiche, sia in Oriente (le Mille e una notte, tanto per fare un esempio) che in Occidente (le Metamorfosi, tanto per pareggiare i conti con l’Est) per non parlare della Bibbia o delle moderne impronte narrative segnate da Borges. Cervantes, per difendere il valore della propria narrazione, arriva addirittura a dialogare con una versione apocrifa del Don Quixote...

La stessa immagine di Lost è di per sé una e molteplice: lo show costruisce, ricostruisce, interlaccia storie e personaggi nello spazio e nel tempo. Vorrebbe essere una storia (una grande scatola) che contiene tutti gli sviluppi possibili. Lost si spinge addirittura a fornire orientamenti e risposte interne alla narrazione rimandando al suo spazio esterno, spazio composto ora da un vastissimo universo (citazionistico) come quello letterario, cinematografico, televisivo, etc. (in senso lato potremmo chiamarlo culturale, anche di segno pop), ora da vere e proprie esperienze parallele (a loro volta citazionistiche) quali sono state prima tra tutte la Lost Experience per giungere fino alla più recente Damon, Carlton and a Polar Bear.

Insomma, tutta una grande deriva per andare incontro ad uno spettatore che quando si appassiona non vuole che la storia finisca, ma che allo stesso tempo appare consapevole, quasi certo, che ciò che sarà sopravvissuto, anche di marginale, difficilmente si rivelerà all’altezza. Sentimenti contrastanti, dubbi amletici… mescolati a del "sano" merchandising. Difficile perciò separarsi da Lost, andare oltre anche solo al suo expanded universe, ovvero tutto ciò che, pur non indispensabile, gli ruota attorno. Ci sono ad esempio i dieci minuti extra in uscita col cofanetto, già circola(n)ti in rete per altro. Ma vale la pena di (ri)percorrere, magari in modo più massiccio, questa via? Provate a chiedere cosa pensano i fans di Star Wars di libri, fumetti, cartoni animati rieditati… in modo “apocrifo".

Sì, dobbiamo fare in definitiva i conti con la tentazione dell’apocrifo (in senso lato, prequel, sequel o spin off che sia) quasi una brutta copia, quasi un gemello cattivo, la tentazione di coprire in qualche modo “i buchi” lasciati aperti dallo script originale. Concludo a tal proposito con il classico “gancio”, atterrando su un piccolo pianeta dell’expanded universe di Lost…

Gli autori ci hanno raccontato fin dal pilot la storia “dell’anagrammatico” Gary Troup, autore del “pessimo” Bad Twin (se ho ben capito si tratterrebbe di Alexander, il gemello cattivo di un certo Clifford Widmore) personaggio finito direttamente risucchiato nella turbina ancora in azione dell’aereo in pezzi, come risucchiato, ma dal fuoco, finirà il manoscritto (spintovi da Sawyer). A parte l’intrigante riferimento ad un gemello cattivo e all’idea di una sorta di bozza di sceneggiatura subito esibita in scena, la fortuna e la sorte toccate a Bad Twin e al suo autore mi fanno pensare a come nel raccontare una storia, per quanto avvincente, ci sia la necessità ad un certo punto di mettere un punto fermo, di operare un taglio netto, anche perché con il passare delle seasons, la fruizione diviene via via più complessa, specialmente per chi non è un fan (addirittura alcuni gruppi di puntate, se non stagioni come osservato da Virginia, risultano vere e proprie digressioni). Alla fine risulta forse meno tragico vedere Gary Troup finire nella turbina dell’aereo del sentirsi dire, quasi con nonchalance, che le domande generano altre domande o del doversi sorbire astruse teorie sui possibili significati del finale open source (come lo ha chiamato Faramir, anche in relazione all’intero show) di Lost.

Ma, come ogni teoria o regola che si rispetti, chi vi scrive ammette una sola ed unica eccezione…




Ditemi che fine hanno fatto, per favore?!

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