martedì 16 marzo 2021

The tide is turning

Se si è in grado di non ascoltare il rumore di fondo del chiacchiericcio giornalistico e di quello social – che si amplificano a vicenda per raggiungere ormai lo sciacallaggio – o se comunque si riesce ad aumentare il rapporto segnale/rumore per cogliere le trasformazioni dello spirito del tempo, quel mutamento nella direzione del vento che scorre oltre le skinner box della comunicazione di massa, ci si rende conto che qualcosa sta effettivamente cambiando.

È vero che le narrazioni distopiche sono ancora molto di tendenza, è vero che l’apocalisse informativa veicolata dalla pandemia sembra non lasciarci via d’uscita, è vero che il proliferare – anche quello virale – di voci disperanti e disperate anche all’interno delle nostre bolle social (da cui, come in una gabbia della Stazione Hydra, sembra impossibile uscire) sembra ci dica che non c’è domani. Eppure ci sono segnali che stiamo effettivamente uscendo dal decennio della melanconia, per entrare in quello della guarigione.


Melancholy in a Skinner Box


Il decennio della melanconia è cominciato proprio con Melancholia, di Lars Von Trier, che giusto dieci anni fa dipingeva una letterale fine del mondo, ad opera di un pianeta carico di paura, depressione, disillusione. E' il decennio del recupero e della riproposizione di tutte le peggiori distopie in letteratura, cinema, televisione. E' il decennio in cui la hauntologia è assurta a paradigma definitivo di lettura della realtà, assediata dai fantasmi del futuro immaginato una volta e mai realizzato, se non per imitazione, campionamento, remix e avvitamento del tempo su sé stesso.

Il decennio della melanconia faceva seguito a quello della seconda possibilità, quello cominciato con il 9/11 e Donnie Darko, quello che ha avuto in Lost e Battlestar Galactica le narrazioni più significative. L'ultimo decennio del secolo XX, invece, è stato quello della fallacia della realtà, con tutte le narrazioni gnostiche come Matrix, The Truman Show e Dark City.

Perché diciamo che questo 2021 potrebbe segnare l'inizio di uno nuovo zeigeist? La nostra non è forse una pia illusione, del wishful thinking che fa il paio con le illusioni - quando non le allucinazioni - di QAnon?

Un indicatore del fatto che qui non si sta delineando una narrazione salvifica, con al centro personaggi più o meno di rilievo ai quali affidare il futuro, è che la tendenza di cui parliamo è collettiva e dialogica. Non c'è colui che ci salverà tutti, siamo noi che guariremo insieme. 


Ille qui nos omnes servabit


Segnali che qualcosa sta cambiando li possiamo trovare nell'utopia di Yanis Varoufakis, Another Now, oppure in quel capolavoro - che già su questa lavagna abbiamo collegato per molti versi a Lost - che è Dispatches from Elsewhere. Li troviamo nell'affermarsi progressivo anche in Italia del sottogenere della fantascienza noto con il nome di Solarpunk, cui Delos Books ha appena dedicato la collana Atlantis. Ma li troviamo in tutto il dibattito sulle piattaforme e sulla possibilità di ripensare questi costrutti digitali che si collocano tra mercato, contratto e impresa - ma anche oltre essi - in chiave cooperativistica e non meramente estrattiva (nel senso, marxianamente, dell'estrazione di plusvalore) - sulla possibilità che davvero all those kids in the sun - come cantava Roger Waters una vita fa - possano 'strappare la spada della tecnologia dalle mani dei signori della guerra'.


I'm not saying that the battle is won


E' ingenuo questo ottimismo, questa idea che la rotta possa cambiare? 

Parlando proprio di melanconia in un'interessantissima trasmissione di BBC Radio 4, l'autore inglese Horatio Clare (che chi scrive ha avuto l'onore di conoscere sull'erba di un campo da gioco) ha parlato del suo breakdown di due anni fa, oggetto - insieme alle conseguenze, che inclusero l'internamento in una struttura psichiatrica, ma anche un percorso di terapia basata sul dialogo che revoca in dubbio tutti gli assunti, ancora piuttosto incrollabili nel mondo anglosassone, sull'indispensabilità dei farmaci - del suo nuovo libro Heavy Light. Uno degli interlocutori della trasmissione gli ha obiettato che una crisi così non va intesa necessariamente nel modo negativo implicato dal termine breakdown, ma va presa nell'accezione piena di potenzialità di breakpoint, punto di rottura - ma anche rottura di livello, cambio di paradigma.

La pandemia è un game-changer di questo tipo? E' questo il momento di guarire, ma non da soli.

 



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