mercoledì 31 gennaio 2024

Dogs of War

Si discorre, in diverse sedi online, della deriva conflittuale che avrebbero preso i social network con la pandemia che aveva inizio ormai quattro anni fa. Una deriva in cui i fronti contrapposti su temi estemporanei (e spesso futili) si attaccano con violenza cieca e odio micidiale – a distanza, da dietro una tastiera, ma sempre più spesso con tracimazioni nel mondo reale. Ha senso – ci si chiede – lavorare all’interno dei social per un ritorno a un confronto più umano, a un linguaggio più gentile, alla creazione di comunità fertili e generative (e non sterili e distruttive)?

Mark, volevi dirci qualcosa?

Io temo che i social network siano ormai irrimediabilmente enshittificati, per dirla con Cory Doctorow: non tanto e non solo a causa del trauma pandemico, quanto per una scelta deliberata dei gestori delle piattaforme, finalizzata a spostare il valore generato (inizialmente a vantaggio dell’utenza) agli azionisti delle piattaforme medesime. Questa riallocazione è guidata dagli algoritmi, che ormai veicolano prioritariamente post divisivi sulle bacheche di chiunque, per generare flame e shitstorm che sono il traffico necessario per massimizzare il profitto per gli shareholder. Temo ormai non sia più sufficiente bannare o non nutrire i troll, perché i bias di conferma che ci portiamo tutti dentro sono sollecitati in maniera soverchiante: per un troll che banno, ne arrivano altri dieci – per un contatto che si mantiene rispettoso, altri dieci sbroccano – e alla fine sbrocca chiunque. Si potrebbe addirittura teorizzare che la trollificazione degli utenti sia l’epifenomeno della enshittification – e il modo che hanno gli algoritmi per generare plusvalore per chi lo estrae dalle piattaforme. La soluzione è abbandonare i social come Jaron Lanier raccomanda da anni (ben prima della pandemia)? Sarà una fuga nei boschi?

Sicuri di voler andare di là?

Proprio di recente, mentre parlavo – in un corso di formazione – dell’utilizzo delle piattaforme, mi è sfuggito il famigerato, thatcheriano, ‘non c’è alternativa’ a proposito della presenza sui social di un’impresa, un’iniziativa, un progetto. Non c’è alternativa, perché è da lì che ‘passa tutto’, e guai a usare un linguaggio diverso da quelli socialmente accettati (che sia il tranchant blastatore, che sia il melenso cuoricinabile), pena l’invisibilità e l’oblio. Ora, il TINA (there is no alternative) è la summa e la sintesi del realismo capitalista, di cui ci parla Mark Fisher. Se cediamo su questo punto, non possiamo lamentarci di nulla, perché vuol dire che abbiamo accettato come ineluttabili i meccanismi di lavoro-produzione-consumo del capitalismo compiuto. Non possiamo illuderci di ‘cambiare il sistema dall’interno’: gli algoritmi saranno sempre più forti, fintanto che li nutriamo, e ci trasformeremo in troll prima di accorgercene. L’algoritmo è il meta-troll che dobbiamo smettere di nutrire, e questo lo si può fare solo andandocene. La pandemia, in questo senso, ha esasperato la deriva bellicista dei social, proprio grazie al fatto che essi sono stati l’unico posto dove interagire quando non ci pareva ci fosse un altrove dove andarcene (in realtà c’era, sebbene online e non offline).

Comunque l'unico mio 30 e lode

Racconto spesso di uno dei due autori sovietici del libro più rigoroso e più complesso su cui ho studiato, uno di quei testi totalmente privi di chiacchiere (alle quali tendono di più gli scienziati americani) che trasudano socialismo reale. Ebbene, come noi comuni mortali non ricordiamo un’epoca in cui non sapevamo fare di conto, costui era noto per non ricordare un’epoca in cui non sapesse integrare - per dire quanto connaturata alla sua vita quotidiana fosse l’analisi matematica. E noi, riusciamo a ricordare com’era la vita prima dei social? Non è tanto tempo fa, eppure il web senza social network sembra un nebuloso, lontano passato, tanto la loro prevalenza sulle altre forme di interazione via internet è diventata imponente. La lenta cancellazione del futuro cui ha provveduto il realismo capitalista è stata seguita dalla cancellazione del passato ad opera degli algoritmi: viviamo in un eterno presente conflittuale, dove qualcuno di impersonale ci dice chi è il nemico del momento, su cui ci accaniamo creando branchi (che coincidono con le nostre bolle social), con riflessi pavloviani (bava alla bocca e tutto) tipici di specie diverse di mammiferi. E Orwell, a cui ormai si attribuisce qualunque aforisma, ci guarda da lontano scuotendo la testa.

Oggi tocca all'Estasia

Pensiamo di poter smettere quando vogliamo, come con una droga: ma non è così. Siamo talmente immersi in questo liquido amniotico artificiale che ci conforta e ci dona endorfine, che facciamo fatica a renderci conto di stare nutrendo noi la Matrice, e non viceversa. E smettiamo di desiderare qualcosa di diverso.


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