giovedì 27 maggio 2010

La morte di Daniel Faraday

Mettendo da parte le discussioni emotive e tecniche sulla qualità del finale, non sarebbe poi così male provare a tornare sulla storia che abbiamo seguito per tanti anni. Alcune risposte che non sono state date, in fondo vengono da sé.

Con la scena trionfale della luce mistica che invade la stanza passando fra i due angioletti della chiesa, viene sancita, almeno in conclusione, la contemporanea sottoposizione della Scienza, che, proprio alla fine dei conti, si inchina alla Fede. Come a dire: quando finisce la vita in questo mondo, lì finisce anche ogni spiegazione del mondo stesso.

Su un piano concettuale, questo trionfo coincide anche con la sconfitta di Daniel Faraday: con la sua morte nella quinta serie, a conti fatti, era morto anche il lato scientifico di Lost. Da quel momento, i discorsi sul what happened, happened, sulle costanti e variabili, sui viaggi nel tempo, sul tempo quadridimensionale, e anche quello successivo (e solo potenziale) sulle realtà parallele sono tutti scomparsi con il loro portavoce. Purtroppo, è scomparso anche ciò che il parametro scientifico delle [variabili] rappresentava su un piano esistenziale: la lotta del libero arbitrio contro la cieca affermazione del Destino.

La quinta serie di Lost sembrava voler mostrare qualcosa: la Libera Scelta si inchina all’Ineluttabilità (del Destino se si pensa al presente, della course-correction se si pensa al futuro, anche qualora si sia in grado di pre-vederlo, del What Happened se si pensa a un passato che si prova a rimodellare), ma c’è una forza che potrebbe dare una spinta decisiva alla capacità umana di contrastare la sorte – questa forza sarebbe l’amore.
L’amore, che ha permesso a Jin e Sun di superare infiniti ostacoli; che ha permesso a Charlie di superare una morte prestabilita prima di sacrificarsi per la donna amata; che ha permesso a Jack e Kate di salvarsi la vita reciprocamente varie volte; che ha spinto Faraday a studiare i viaggi nel tempo, le costanti e le variabili; ma, soprattutto, che alla fine del percorso ha guidato ogni gesto di Juliet, con continui cambiamenti d’opinione e di scelta, fino a portarla sul luogo dell’incidente, tirandosi dietro tutta la banda, in primis l’amato James.

L'amore sembrava la chiave per aprire quella serratura impenetrabile costituita da una storia che s’era già fatta e che per questo, qualora fosse cambiata, avrebbe dovuto rappresentare un reset totale nelle vite degli artefici stessi di quel cambiamento. E anche in questa fase era un uomo di fede a portare avanti la battaglia scientifica contro il destino: Jack, l’uomo razionale per eccellenza, credeva ora ciecamente nella possibilità di cambiare il passato, in nome di un supposed to immotivabile e che nulla aveva di razionale e scientifico.
In questo momento, scienza e fede dunque convergevano in modo magnifico in una lotta non più fra la mente razionale e quella emozionale, bensì nella lotta maestosa dell’uomo contro il Destino, anch’esso in grado di racchiudere insieme scienza e fede, laddove rappresentava sia una Forza Superiore trascendente, che il naturalissimo processo secondo il quale l’Universo vuole stabilire le proprie regole ferree per mantenere il proprio equilibrio generale.

I colpi di Juliet sulla bomba sono stati gli ultimi istanti di questo sublime incrocio di prospettive. Ma riguardo l'esito di questo istante risolutivo, ogni soluzione sembrava introvabile, perché qualsiasi strada avrebbe creato troppe complicazioni.

La scena successiva, all’apertura della sesta serie, è stata l’aereo Oceanic 815 che sorvolava un’isola affondata. Sembrava proprio il compimento della vittoria della fede, del Libero Arbitrio, dell’Amore, della scienza “possibilista”, contro il bieco principio di conservazione dell’Universo. Ma dopo poco, eccoli tutti di nuovo lì, sull’isola, tutto come prima, da dove si era partiti. Vittoria e sconfitta insieme? Un pareggio fra Amore e Destino?

E allora si è pensato alle realtà parallele, al gatto di Schrödinger, alla possibilità, giustificata dalla fisica quantistica, dell’esistenza di più mondi, equivalenti e contemporanei, ma diversi. In molte cose addirittura speculari. Eventualmente generati da una stessa causa, con due conseguenze divergenti.
Alla fine, però, anche questa prospettiva ipotetica è stata smentita.

E allora cosa rimane? Rimane la sconfitta di Daniel Faraday: perché tutto è avvenuto così come sempre era avvenuto, così come doveva. E la sconfitta di tutti: le regole dell’Universo hanno prevalso sull’azione umana, sulla scelta umana, sull’amore umano. Lo spazio per la scelta, l’autoaffermazione, l’amore, è solo uno spaziotempo immaginario, o ultraterreno.

Ma allora – proviamo finalmente a ricostruire e ricollegare – cosa era successo veramente nella cornice di what happened? Proprio ciò che di più lineare, coerente e autoconclusivo si potesse immaginare:
i viaggiatori del tempo, loro nel periodo Dharma c’erano sempre stati, nessuno era un intruso della storia, tutti, i time-skippers e pure gli Ajira-4 avevano contribuito alla storia che aveva preceduto la loro stessa nascita e aveva condotto al contesto presente in cui si erano trovati dopo il crash sull'isola.
Vale a dire: la bomba era sempre stata portata alla stazione Swan, era sempre stata gettata nel pozzo, sempre inesplosa; Juliet era sempre precipitata giù, e i nostri erano sempre ritornati, con un ultimo skip di ristabilizzazione, al tempo cui appartenevano, una volta compiuto il compito e richiuso il cerchio; nel suo presente, poi, Juliet è morta, balbettando “it worked” perché già aveva visioni dello spaziotempo immaginario in cui, dopo la morte, i personaggi si ritroveranno e ricorderanno.

E sull’isola dei tempi Dharma? Semplice adesso ricollegare i pezzi: la bomba, rimasta sul fondo del pozzo, sarebbe stata utilizzata dagli scienziati della Dharma (Chang, e gli altri) per arginare la perdita. Come? Sarebbe stato cementificata l’area, e sarebbe stato costruito un sistema in grado di rilasciare piccole esplosioni dalla bomba a idrogeno, premendo un pulsante; si era calcolato che dopo 108 minuti senza alcun rilascio, l’incidente avrebbe riproposto i suoi effetti magnetici (infatti li vediamo sotto la Swan, negli anni 2000, uguali a come li vediamo esternamente alla stazione in fase di costruzione, negli anni '70), dunque era quello l'intervallo di tempo limite per la pressione; quando poi John Locke decide di non premere più il bottone, l’incidente riprende forma, e tutto sta per essere risucchiato nella falla, proprio come nell'episodio The Incident. Ma la Dharma ha costruito anche un sistema d’emergenza, la chiave fail-safe, che con ogni probabilità aziona la bomba in modo completo, lasciandola esplodere. Di conseguenza, l’interazione fra esplosione (controllata e canalizzata) e perdita di energia elettromagnetica genera un’implosione fortissima, che è quella che causa il colore violaceo del cielo e la distruzione della stazione Swan.

Ed ecco che l’incidente è definitivamente arginato. Ci si potrebbe chiedere: perché la Dharma non ha fatto esplodere la bomba? Per il timore, forse, di una conseguenza disastrosa. Il sistema failsafe sarebbe stata una misura estrema, per evitare una tragedia certa.

Forse allora qualcosa torna, e torna perfettamente. In alcuni casi non servono risposte esplicite per trovare una spiegazione. Eppure, quella lotta sublime che Jack, Faraday e Juliet portavano avanti, è un peccato averla vista scomparire così.

3 commenti:

  1. @ Scienza e Fede: alla ricerca di un moderno sublime
    Il suddetto binomio, insieme a Vita/Morte, Bianco/Nero rimane, a mio modesto avviso, tanto la chiave di lettura, quanto una struttura di base del serial Lost, che proprio in quanto serial necessita di una solida chiglia per navigare nel "mare magnum" delle Sei stagioni (si rivedano in tal senso anche le tematizzazioni per stagione proposte da Faramir, nella sostanza confermate anche dagli stessi Autori).
    Il binomio oltre a rappresentare a livello narrativo il cosiddetto "grado zero" (cioè di base) del racconto (e ciò è sempre manna del cielo per un Autore) è anche qualcosa di profondamente complesso.
    Nel mondo antico, se non remoto o atemporale, nel quale sembra radicarsi Lost, la conoscenza (pur poi esplicitata anche in ottica “manichea”, “doppia”) era nella sua azione tendenzialmente olistica, ovvero onnicomprensiva: le varie branche del sapere (filosofico, scientifico, giuridico, religioso, ecc.) raggiungeranno una loro autonomia in tempi e modo diversi, a seconda anche delle diverse coordinate etnico-geografiche.
    Per questo penso che ci sia forse nella luminosa confluenza finale di Scienza e Fede (che Aldo Grasso ha definito sul Corriere “vagamente new age”) una modernissima sete di ritorno ad una sapienza “primordiale”.
    La stessa Luce dell'Isola è un mix di “elementi” contraddittori, che proprio in quanto tali aprono la via agli esiti (anche narrativi) più diversi: Jack e MIB dopo essere risaliti dai meandri dell'Isola, realizzano con una formidabile battuta tale contraddizione (hanno ragione e allo stesso tempo si sbagliano entrambi!).

    Basta una tale scelta narrativa a far parlare di ambiguità e incoerenza?
    A mio avviso no, perché Lost non ha mai avuto la pretesa (pur avendo giocato molto, talora troppo con lo spettatore fedele) di essere lineare e verosimile. Provate a riassumere Lost (come ha fatto Hugo a sua madre!) e poi ditemi con che occhi verrete sbirciati?
    Sono forse verosimili time-skippers, flash-backs, flash-forwards, flashsideways, course-corrections, ecc.?
    Domanda retorica la mia: io li trovo piuttosto (modernamente) sublimi...

    Alla mirabile analisi Virginiana sulla luce, aggiungerei qualche indagine su quanto detto da Rambaldo, che definisce curiosamente e opportunamente “sublime” la lotta tra Jack “il Pastore” Shepard, Daniel “lo scienziato” Faraday e Juliet, “il filosofo” Burke.
    Ricordiamoci che sublime è una delle categorie poetiche per eccellenza, quella che fin dall'Antichità (il Perì Hýpsous, insieme alla consimile opera di Aristotele, fu uno dei più importanti trattati estetica di allora) vede l'Io Umano completamente immerso (L'Io sprofondato) nella contemplazione, in una unione indistinta, nel suo osservare, di scienza e fede.

    Ed ora per la serie, inaugurata da Faramir, del tutto torna...
    Curiosamente fu proprio Burke nel 1757 a pubblicare una sua “Indagine filosofica sull'origine delle nostre idee sul sublime e sul bello”. Inoltre, sublime è termine che deriva dal turco bab-i ali (“alta porta”)!
    Certo che con 'sta storia dell'intertestualità e "del tutto torna" al Gatto e alla Volpe... perdonatemi... gli va sempre di culo!

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  2. Sono rimasta un pò delusa dalla stagione finale anche se mi sono piaciute così tanto le serie precedenti (la quinta a mio parere era già un pò scaduta, rispetto alle bellissime precedenti) che, in fondo, potrei pure perdonare gli autori. A dire il vero, un pò tutti abbiamo immaginato che ci potesse essere una qualche relazione con il limbo, che tutto potesse essere uno "stato di transizione" nel quale redimersi o sentirsi finalmente utili, un passaggio verso "qualche altra dimensione", insomma che sotto sotto ci potesse pure essere la "fregatura" stile Sesto Senso o The others ma io ho sempre rifiutato fino alla fine di accettare che sarebbe accaduto. Infatti non è andata proprio così ma ci sono andati vicino... ma, visto che gli autori (almeno) hanno cercato di spiegarci che l'isola era una realtà sostanziale e che tutto quello che era successo era successo davvero. proprio per questo, però, e se questo è vero, ribadisco che la stagione finale, specie le ultime due puntate, sono state un pò deludenti. Se tutto quello che era accaduto prima (viaggi nel tempo, progetto Dharma, esperimenti scientifici, Daniel Faraday, facoltà di Desmond, ecc) se era tutto vero, allora tutto ciò richiedeva una conclusione degna. Se tutto fosse stato frutto di proiezioni mentali di spiriti "in transizione" sull'isola-purgatorio o addirittura un sogno (come dice Bart Simpson, magari di Vincent) si poteva anche accettare, seppur a fatica, una semplicistica (a mio parere) conclusione pseudo-mistica ma, se ci dicono che così non era, allora è stata piuttosto banalina, non in linea con lo spirito e le aspettative. Concordo con Francesco Pizzardo, proprio perchè ci sono rimasta un pò male....mi aspettavo un finale all'altezza. Tuttavia, le emozioni sono state così tante nelle serie precedenti che mi sento di "perdonarli"! :-) p.s. Je adore DESMOND!!!

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  3. p.s. scusate se mi riferisco ad un certo Francesco ma credevo di scrivere ancora su facebook! pardon!

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