Da sempre Lost ci ha abituato ad una continua ridefinizione dei termini in cui percepiamo la vicenda narrata, on- e off-island. Continua ridefinizione lungo la quale abbiamo accompagnato i Losties, scoprendo insieme a loro come l'Isola e i suoi abitanti non fossero mai quello che erano apparsi in prima battuta. Le sei stagioni di Lost sono un progressivo zoom all'indietro, ad inquadrare sempre più vaste aree di quel mosaico che ancora sfugge ad una visione complessiva, ma che ha rivelato contorni man mano più definiti, articolati, compositi. Paradigmatica è la scena finale dell'incipit della terza stagione, che contestualizza nell'Isola il villaggio degli Altri, allargando l'inquadratura a farci riconoscere i luoghi e il momento del crash, ma anche l'inizio della seconda stagione - che parte dall'interno della Stazione Cigno per uscire verso la botola - è un dispositivo analogo, che svela, colloca, ridefinisce. Questa modalità di progressiva messa a fuoco ha un analogo nello sviluppo in serie di cui si parla in analisi matematica: ogni funzione, ogni curva su un piano cartesiano, può essere rappresentata - vicino a un suo punto - come la somma di funzioni più semplici di grado progressivamente maggiore. In un punto dato, ogni curva è quindi, in prima approssimazione, una retta per quel punto, in seconda approssimazione una parabola, poi una cubica, e così via.
Oggi che con Ab aeterno siamo entrati definitivamente in modalità-risposte, dobbiamo attenderci un procedimento analogo da parte degli autori a proposito della natura dell'Isola e dei suoi misteri: leggiamo quindi la metafora del tappo - con cui Jacob illustra a Ricardo che cosa sia l'Isola - come la prima e più lineare approssimazione della sicuramente più complessa natura dell'Isola. Lineare non tanto nel senso di tangente alla curva, quanto nel senso di più facilmente riconoscibile e comprensibile da un bracciante delle Canarie di metà Ottocento, educato nella cattolicissima Spagna e non certo avvezzo a sottigliezze metafisiche. Pertanto, anche l'identificazione di Jacob con il Bene e della sua nemesi con il Male non è altro che la più semplice delle dicotomie, ma nulla ci dice di più di quanto già sapevamo sulla complessità del rapporto tra i due giocatori, entrambi in realtà composti di luce ed ombra, di libertà e necessità, di ragione e fede. La vera dicotomia, ciò che in ultima analisi caratterizza inequivocabilmente l'uno e l'altro, ci sarà svelata alla fine di questa sorta di sviluppo in serie, che proseguirà nelle ultime sette puntate con precisione sempre maggiore. Non aspettiamoci però - come il povero Ricardo ha fatto invano - di essere guidati nella scelta, e quindi di non avere dubbi sulla parte da prendere, delle due in gioco: il finale, se non narrativamente, sarà di certo eticamente aperto.










