giovedì 1 maggio 2025

Uso e abuso della vulnerabilità











La sensazione di delusione era palpabile, alla fine: con altre persone, in fila alla toilette (trascurando ovviamente la distinzione dei bagni tra uomini e donne), ci si diceva che l’evento era stato un’occasione irripetibile (e pertanto meritevole di viaggi anche lunghi per esserci) ma sostanzialmente persa. Dialogo c’è stato, tra due giganti del pensiero della differenza, ma è sfociato in una polarizzazione che non era chiaramente nelle intenzioni di chi lo ha voluto e organizzato, una polarizzazione – ci dicevamo nello sconforto comune – figlia dei tempi. Quindi questo incontro, più che rientrare nelle usuratissime categorie di importanza e necessità, è risultato epocale.

È stato un dialogo che – soprattutto nella conclusione un po’ brusca e frettolosa – ha risposto chiaramente alla domanda che Lorenzo Bernini ha posto proprio in dirittura d’arrivo, e sintetizzabile con: Dove abbiamo sbagliato? Dove hanno sbagliato il pensiero femminista e l’attivismo LGBTQIA+, se – pur tra le indubbie conquiste – hanno lasciato campo libero alla reazione, al conservatorismo più retrivo, al ritorno in auge dell’autoritarismo patriarcale?

L’errore si è reso palese nella polarizzazione all’interno di un fronte che – pur nelle differenze, che sono da valorizzare – doveva essere unito e che invece si è lasciato penetrare (non usiamo a caso il termine) da un potere che non ammette (e nel confrontarsi con il mondo non ha) la minima crepa nella sua monolitica (parmenidea e/o hegeliana) interezza.

Il tema del confronto era unificante: la vulnerabilità è tratto comune tra le varie anime del pensiero della differenza, sessuale e di genere. Ma tra le voci presenti, quella che ha usato delle vulnerabilità dell’interlocutrice a proprio vantaggio è stata quella di Judith Butler, che ha, nell’ordine

  • lamentato il fatto che non le era stato detto di preparare un intervento
  • sostenuto di vedere paura e rabbia nell’intervento di Adriana Cavarero
  • assecondato quello che si è rivelato essere il proprio pubblico, sempre più rumoroso sugli interventi altrui
  • preteso di insegnare con condiscendenza alle (ormai) controparti italiane ad accogliere il contraddittorio del pubblico
  • chiuso di fatto l’incontro con un bacio a Cavarero, mostrando una benevolenza top-down tutt’altro che accogliente.












Non sono mancati errori anche da parte italiana, beninteso: al di là di qualche fatica organizzativa (nell’accoglienza di una folla da concerto) e dei sottotitoli automatici che – tra un fastidioso maschile sovraesteso e fraintendimenti che potevano anche essere divertenti – sono stati progressivamente sempre più cringe, uno dei problemi principali è stato l’aver sottolineato – da parte di Adriana Cavarero, forse scottata dal francamente irritante recente confronto a Fahrenheit con Rosi Braidotti – il fatto che la definizione di donna, i diritti delle persone trans e le conseguenti polemiche che dominano il dibattito pubblico contemporaneo non fossero a tema del meeting. La chiusa del suo intervento iniziale è suonata come excusatio non petita, ha triggerato la parte di pubblico più attiva in ambito LGBTQIA+ e ha dirottato la discussione verso la polarizzazione che non si voleva.

Quindi a poco è servito il ‘disclaimer unificante’, se quella parte di pubblico (insieme agli schiocchi di dita in apprezzamento per Butler) ha utilizzato modalità progressivamente più vocal in reazione agli interventi di Cavarero (e di Olivia Guaraldo), accentuando e non smorzando la tensione.

Si potrebbe obiettare che organizzare un evento operistico che prevedesse la presenza contemporanea sul palco di Maria Callas e Renata Tebaldi non sarebbe stata – in nessun universo – una buona idea, soprattutto a causa dei rispettivi pubblici, ma questo tra Butler e Cavarero non doveva essere uno scontro, un duello, un contest di qualsivoglia genere – ma stava per finire come un regolamento di conti tra fazioni rivali di uno stesso fronte e ha confermato i motivi (almeno tattici) per cui quello che di recente Naomi Klein ha definito end times fascism (il fascismo della fine dei tempi, sic) sia trionfante in ogni parte del mondo.

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