
La recente polemica a distanza tra George R. R. Martin , autore della saga fantasy
A Song of Ice and Fire, e Damon Lindelof,
showrunner di Lost assieme a Carlton Cuse, ci ispira delle riflessioni - alcune nostalgiche, alcune polemiche, alcune di metodo. Non è un caso - nulla avviene a caso - che questa sia più o meno l'epoca in cui l'anno scorso andava in onda la faida tra spettatori
fedeli e
detrattori di Lost, se è lecito semplificare così la disputa che scoppiò definitivamente all'indomani di
Across the sea. E chi scrive prova una nostalgia struggente verso una primavera - varie primavere - in cui ci si incontrava e scontrava sui forum, sui temi di un telefilm che almeno per un bel po' non vedrà eguale e che oggi ci lascia orfani a postare su un blog che non è ancora riuscito a
passare oltre.
Faida c'è stata, e anche in questo caso in modalità asincrona e per via informatica, anche tra l'ormai leggendario autore dei romanzi, dal primo dei quali - A Game of Thrones - è in corso la trasposizione televisiva (di pregevolissima fattura, a partire dal casting) targata HBO, e il nostro Damon, che si è visibilmente risentito di alcuni poco lusinghieri apprezzamenti di Martin sul finale della serie - apprezzamenti che, almeno nella trascrizione giornalistica, non denotano una lettura particolarmente approfondita da parte di Martin medesimo, che anzi pare echeggiare le posizioni più superficiali tra quelle di chi è rimasto deluso da The End.
Il risentimento, che poi ha sortito una micidiale serie di tweet dall'account di Lindelof - alcuni dei quali decisamente divertenti - si riferisce soprattutto al fatto che Martin abbia sostenuto di non voler tirar via un altro Lost quando si tratterà di concludere la sua saga. Ora, un'affermazione del genere farebbe irritare chiunque, soprattutto perché - status di culto di Lost a parte - rischia di diventare un modo di dire, anche grazie a una paternità così autorevole.
Ma in realtà Lindelof è vieppiù legittimato a indignarsi e replicare in quanto G.R.R.M. parrebbe aver contravvenuto alla regola d’oro (di deontologia, ma soprattutto di decenza) secondo cui un narratore (regista, scrittore, fumettista…) non dovrebbe criticare un suo pari sul come narra. Nessuno lo fa, nemmeno Stephen King si permette di dire all’ultimo dei parvenu dell’orrore che avrebbe potuto fare di meglio. Perché è ovvio che avrebbe potuto fare di meglio, ma si espone al rischio che l’interessato gli risponda, a buon diritto, di provarci.
Ma soprattutto, e l'interessato questo lo ha ben esposto in un'intervista a Entertainment Weekly, Lost e le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco sono due narrazioni ben diverse, essendo caratterizzata la prima - come anche Battlestar Galactica, per dire - dall'interazione dei personaggi con un nucleo fondante di mistero, mentre la seconda ruota attorno all'interazione dei personaggi tra loro ed un contesto storico-sociale (sebbene immaginario). Pertanto, la conclusione di Lost ha a che fare con questo mistero (ed è, chi è andato al di là della superficie lo ha colto, un mistero di senso), ed è una conclusione contemporaneamente circolare e lineare, ciclica e teleologica. La conclusione delle Cronache (se e quando Martin ci arriverà) non potrà che essere lineare, perché non ha a che fare con un mistero, bensì con chi vince e chi perde, con chi vive e chi muore, chi regna e chi è assoggettato. Volendo estremizzare, Lost sta alle Cronache come un racconto mitologico sta ad un romanzo storico. Forme narrative diverse, che solo a determinate condizioni possono essere paragonate: e purtroppo, che in nessun modo possono colmare l'una l'assenza dell'altra.