Lost ha selezionato progressivamente il proprio pubblico. Soprattutto nel corso delle ultime tre stagioni, l'audience è stata sfrondata, prima, dei detrattori della fantascienza, e poi degli spettatori individuali per puro intrattenimento: gli uni perchè fino alla quarta stagione in qualche modo avevano sperato in una prevalenza di tematiche realistiche, gli altri perché soverchiati - in assenza di una community di riferimento - dalla complessità della trama. Con la sesta stagione è arrivato il momento dell'ultima potatura: chi sta venendo meno sono gli appassionati - anche di lunga data - convinti che Lost sia fatto soprattutto di trama, invece che di personaggi. Arrivati ad un terzo dell'ultima stagione, chi contava su una sequela di risposte dirette ai misteri, costruiti nelle cento e passa puntate precedenti, si è ritrovato di fronte a nuovi personaggi, nuovi luoghi, addirittura di fronte ad un nuovo e quantomai enigmatico dispositivo narrativo. E lo scoramento si è fatto palpabile, nei forum, nei social network, da pulpiti giornalistici più o meno autorevoli, quasi che i tempi di risposta fossero un requisito contrattuale tra sceneggiatori e pubblico. Ma gli sceneggiatori sono fondamentalmente narratori, che devono pur sempre raccontare storie avvincenti: non sarebbero tali 17 episodi che consistano in pedanti spiegoni su come e cosa e perché. Se questo è ciò che ci aspettavamo, forse abbiamo frainteso lo spirito di un racconto che è programmaticamente character-driven (con la focalizzazione su un personaggio alla volta, on-island e nei fb, ff, fs, ad esempio). I personaggi sono il fine della trama, la trama non è fine in sé stessa: per spiegarla basterebbe una puntata-documentario, per raccontarla serve tutto - anche Dogen, anche il Faro, anche i flash-sideways.
I delusi dell'ultima ora stanno mettendo le mani avanti: probabilmente resisteranno fino alla fine, ma con l'occhio scettico di chi vuol riservarsi la possibilità di dirsi preso in giro e di dire ve l'avevo detto. Chi scrive ama lasciarsi sorprendere e cerca di evitare i processi alle intenzioni: per questo cerca di evidenziare i lati positivi e non dà pareri definitivi su quelli che al momento paiono i punti deboli della narrazione. Prima ancora del rispetto per chi ci ha saputo narrare un vero e proprio mito contemporaneo, ne va della nostra intelligenza.
Io credo che questa sesta stagione sia eccellente per intensità, emozioni, capacità di raccontare i personaggi, chiudendone in molti casi la parabola. Lost mi ha catturata sin dal pilot per la complessità dei suoi protagonisti, per i dialoghi mai banali, per la storia che via via è stata sviluppata. Certo, anche per i misteri che danno vita a mille possibili chiavi interpretative, alle continue domande che sono e si stanno tuttora generando. Soffermarsi però solo sulle risposte, sull'urgenza d'inserire l'ultimo tassello del puzzle per contemplarne l'immagine finale, rende ingiustizia ad un'opera che resta, come dice Faramir, un racconto magistrale e che in quanto tale va goduto..le risposte arriveranno, ma mai come in quest'ultima stagione gli autori (ed anche gli attori, tutta la squadra in generale) si sta mantenendo ad altissimi livelli.
RispondiEliminaCredo che nello scontento di alcuni pesi il fatto di sapere che questa sia l'ultima stagione..il conto alla rovescia fa vedere solo un aspetto, per la paura che lo schermo si faccio buio all'improvviso senza che l'attesa sia stata ripagata.
Per quanto mi riguarda, è proprio il tragitto, la ricerca che lo accompagna, che vale il prezzo del biglietto.
LOOPHOLE
RispondiEliminaLeggendo il post di Virginia sullo sguardo, il mio occhio è caduto su una parola...
'Loophole' è parola assai affascinante se riferita a Lost...
E' in lingua italiana traducibile con 'scappatoia', termine che etimologicamente contiene un ulteriore fascinazione: l'idea di cercare un 'hole' (di fuga?) da un 'loop', da un anello, da un cerchio, da un ciclo, insomma da qualcosa di ricorsivo, come ricorsiva sembra essere la vita sull'isola.
In definitiva il termine 'loophole' mi sembra ben simboleggiare il desiderio di cambiare un loop temporale on-island che semplicemente equivarrebbe alla ricerca del “progresso”.
Ma per realizzare cosa? C'è forse un grande traguardo, un punto in cui si ripristina un diverso sviluppo (magari lineare o irreversibile) del tempo? Ai posteri(ori) episodi l'ardua sentenza.
Il ciclo temporale è cifra essenziale per lo spettacolo di Lost (originariamente 'The Circle'), che potrebbe trasformarsi in spettacolo deludente se - come dice l'antagonista di Jacob - “finisce sempre nella stessa maniera”.
La scommessa in gioco sembra vertere sul fatto se uno specifico evento, successo già molte volte in passato, alla fine dirà o meno qualcosa di nuovo.
Jacob (ed è in tal senso assai affascinante la suggestione di Faramir circa un Jacob/J.J.Abrams) sta cercando di dimostrare l'erroneità di ciò. Insomma: se “Lost” rischia di essere una storia come tutte le altre, allora occorre dimostrare che non è tale.
Ma come?
Secondo me attraverso i personaggi e le loro storie pazientemente ordite (come ben sottolineato nel post di Faramir), ma con onestà intellettuale e passione narrativa (sia in chi racconta sia in chi ascolta) senza creare scandalosi paradossi o al limite “facendo scoppiare una bomba” per neutralizzarli.
Alla base di tutto ci sta ancor di più, a mio modesto avviso, la manipolazione, magari quella a fin di bene, come sembrerebbe essere il tocco (comprensivo di 'gift') operato da Jacob, e non quella malvagia del suo “fumoso” antagonista "armatore" della mano di Ben.
Anche noi, in fondo, siamo spettatori manipolati a fin di bene, consapevoli che ci sono cose che devono accadere e che ci sono ancora da spiegare molte cose che sono accadute.
La scappatoia è perciò fondamentale ma sarà (od è già stata predisposta) ottenuta “non puoi immaginare a quale prezzo”.
C'è infine la questione - non secondaria come può essere un protocollo - di regole che si possono magari cambiare ma non infrangere, in un gioco che sta riportando pian piano un po' tutti l'isola, in particolare i vari leaders (Widmore compreso) in lotta per il potere.
Se deve essere guerra (magari anche tra noi e gli sceneggiatori) che guerra sia, ma nel rispetto delle regole!
Lost è, in una sola parola, "honorificabilitudinitatibus", cioè "capace di ottenere reverenza".
RispondiEliminaIl problema è la comprensione.
Quando il livello di comprensione diminuisce (e con livello intendo la volontà di comprendere), parimenti diminuisce anche l'altra comprensione ... cioè la facoltà di tollerare qualcosa che non comprendo o che non voglio comprendere.
Quindi prende piede la pessima abitudine (per citare Faramir) del processo alle intenzioni.
Gettare ombre, cercare di togliere pregio e valore a quello che anch'io considero "un mito contemporaneo! Molti, negli ultimi tempi, lamentano una struttura narrativa "cervellotica" ... forse ma è questo il bello di Lost. Non è stato ideato per essere "prodotto rassicurante". Richiede allo spettatore una notevole dose di attenzione.
Ora se alcuni si sono, diciamo, stancati - e proprio a pochi passi dalla fine - di prestare "attenzione" ... liberi di farlo ma ...(e cito in toto Faramir, perchè meglio non avrei potuto fare)"Prima ancora del rispetto per chi ci ha saputo narrare un vero e proprio mito contemporaneo, ne va della nostra intelligenza."
Sono d'accordo.
RispondiEliminaPrima di tutto eviterei giudizi prima della fine della serie, per il momento mi lascio affascinare dalla complessità dei personaggi. Basta pensare a uno qualunque dei protagonisti nella storica prima serie per rendersi conto di quanto ora siano cresciuti dopo sei stagioni.
La bellezza di Lost è stata anche quella di sapersi evolvere come serie senza rimanere sempre uguale a sè stessa.
Non sarei sincero se dicessi che non mi interessa nulla dei vari misteri, ma la cosa che mi ha affascinato fin dall'inizio è stata scoprire come questi personaggi siano in realtà legati da qualcosa. Mi pare che questa sesta stagione stia ponendo l'accento proprio su questo aspetto.