Una guerra fratricida. E' quello a cui stiamo assistendo - meglio, partecipando - al di qua e al di là dello schermo, durante queste ultime puntate di Lost. Non è un caso infatti che proprio in occasione di Across the sea sia defintivamente esplosa la polemica che ha visto affrontarsi, con toni via via più accesi, i sostenitori di Lost e i suoi detrattori più o meno dell'ultima ora, lungo questa sesta e ultima stagione.
Proprio mentre due fratelli si affrontano senza esclusione di colpi, per il senso da dare a quell'Isola che li ha visti nascere, così la community di Lost vede prendere una piega irreversibile al dibattito tra chi ritiene la serie un capolavoro - e che tale rimanga, anche in una stagione enigmatica come questa - e chi, magari dopo anni di devozione, si sente preso in giro e non esita a manifestare la propria frustrazione, anche attraverso attacchi a coloro con i quali ha percorso fraternamente il viaggio fino a qui.
Lost è stato sempre leggibile a più livelli, anche quello più semplicemente avventuroso, senza necessitare di un background specifico per goderne la fattura e la capacità di avvincere. Ora, forse mai come in questo episodio può essere capitato di pensare che per capirlo meglio - e non liquidarlo come una narrazione banale e kitsch - occorresse una formazione classica. Perché Across the sea è un cristallino esemplare di tragedia, in senso classico. C'è tanto Eschilo, per dire: ai più avveduti è venuta in mente la storia di Eteocle e Polinice, figli di Edipo, ma in generale è la miglior manifestazione televisiva dello spirito tragico - con tutto quanto di matricida, fratricida, filicida esso comporta, con tutta la ricerca di senso, continua, frustrata e infine disperata, che esso rappresenta.
Comodo sarebbe liquidare il disappunto dei detrattori come un caso di uva irraggiungibile dalla volpe, e quindi dichiarata acerba. D'altra parte, hanno buon gioco i detrattori nell'identificare con la Madre reticente, quando non mentitrice, gli stessi Autori di Lost. Si potrebbe rispondere, a chi ritiene che la narrazione abbia preso la piega dell'americanata, che forse a Roma, un paio di millenni fa, c'era chi bollava le tragedie come la solita robaccia dei greci, oppure che quelli che ci paiono stereotipi sono invece archetipi. Non tutti, del resto, hanno la possibilità o la voglia di esercitare la keatsiana capacità negativa, e dunque è necessario ammetterne come legittimo lo scoramento.
Ma il tutto sarebbe vano, perché ormai - come in ogni tragedia che si rispetti - gli eventi precipitano: la community si sfalda, perde i pezzi senza che chi la anima possa nulla rispetto a questa accelerazione, rispetto alla polarizzazione ed esasperazione delle posizioni. Che forse sono il più grande successo metanarrativo di quest'opera, che ha saputo descrivere sempre in anticipo, attraverso i propri personaggi, l'effetto che avrebbe avuto sul proprio pubblico. In altre parole, questa conclusione di Lost è triste e dolorosa, non solo per le vicende messe in scena, ma anche per ciò che hanno scatenato al di qua della quarta parete. E nulla possiamo: non ci resta che accettare - tragicamente - questo destino.
EPOS TRAGICO E RINASCITA
RispondiEliminaCome in un grande mosaico si sta componendo, con buona pace di critici e detrattori, il quadro finale di Lost. Forse finirà per mancare qualche tessera, ma non certo, a mio modesto avviso, la visione d’insieme, che io identifico con il gusto del racconto nella sua tragica essenzialità.
Nella puntata forse più elevata, che conferma oltretutto la grande regia e i grandi movimenti di macchina della Serie, tornano prepotentemente il mito e la leggenda.
Come non pensare ai grandi miti fondativi europei – grazie a Faramir - a Eteocle e Polinice, ma anche - perché no - a Romolo e Remo, con una madre che si presenta parlando in latino? E poi all'Egitto, un tempo latinizzato, con le sue porte sull'immortalità e una chiave della vita che compare sulla plancia del gioco che intrattiene costantemente negli anni due fratelli così speciali?
Ebbene si, due fratelli, uno dei quali senza nome, con un padre assente, sottoposti a un destino tragico quanto una tragedia greca, senza nemmeno la certezza di una definitiva catarsi.
E poi l’uso connotativo del colore circa il vestire: due madri, caratterizzate ora dal rosso, ora dal bianco-blu, che curiosamente si incontrano quasi a formare la bandiera statunitense; due neonati, fin dalla nascita marcati da una loro specifica sfera cromatica.
Il bianco e il nero, come le pedine di un gioco, forse nato per stabilire a chi debba spettare l'onere e l'onore della custodia dell'Isola.
E, infine, anche se siamo su un'isola tropicale abbondante di ottimo pesce, quanta carne al fuoco in questa “Across the sea”!
In un nuovo mondo (metafora dell'America?) qualcosa di buono e qualcosa di cattivo sembrano fronteggiarsi per capire se coloro che arrivano, distruggono, combattono, siano destinati a far finire tutto sempre nello stesso modo, magari ricercando indebitamente l'origine delle cose.
In gioco c'è un destino da scrivere, una partita che non deve finire sempre nello stesso modo.
E c'è soprattutto la sacralità: quella che si accetta bevendo cristianamente da un calice, in un rito che diventa di Comunione (il diventare un'unica persona), ma soprattutto la sacralità della Vita.
Le risposte sono legate ad una luminosa fonte di Vita (ma anche di morte a quanto pare) che forse ha ridato vigore a Ben e Sayid ed anche generato la mostruosa colonna del Fumo Nero.
Come per Star Wars, epopea tanto cara ai Nostri, tutto ciò richiama in me l'idea del sogno di ogni grande autore, almeno dalla Bibbia e da Omero in poi: l'affidarsi al “grado zero del racconto”, quello del bianco e del nero, della scienza e della fede, della vita e della morte, ma anche quello di una possibile e catartica RINASCITA.
Io credo che questa puntata presenti tutte le caratteristiche di Lost che sin dalle origini abbiamo imparato a riconoscere ed amare, ognuno con le proprie personali preferenze: elementi mistici, religiosi, filosofici, scientifici, archetipi classici, in una narrazione che ha sempre posto come elemento prioritario la magnifica caratterizzazione dei personaggi, presentati nella loro parabola evolutiva e nelle loro tante sfaccettature.
RispondiEliminaAnche "Across the sea", nonostante le metafore, le allegorie, i simboli, non rinuncia, anzi sottolinea, la descrizione dei personaggi (Jacob e Mib), dandocene un ritratto umanissimo e doloroso, legando le loro scelte a quelle che sono le tematiche di sempre della serie: fede versus scienza.
La Luce con la quale entrambi hanno a che fare (Jacob come custode, il secondo uscitone sotto le forme di Fumo Nero),in questo episodio ha avuto una spiegazione mistica, ma non sfuggono le conseguenze scientifiche che la manipolazione di quell'energia (elettromagnetismo dell'Isola)produce e su cui la Dharma ha impostato i propri esperimenti.
Mancano tre puntate per vedere come andrà a finire, che ne sarà di quella Luce e dei personaggi il cui destino è stato d'incrociarla.
Il problema, se così vogliamo chiamarlo, riguarda il tentativo di codificare "scientificamente" qualcosa che non soggiace a certe regole: il mito.
RispondiElimina"Across the Sea" non è una semplice puntata. E' la genesi. La genesi di un mito, il mito di Jacob e suo fratello. E come tale deve essere inteso.
Mythos cioè racconto. Anche fantastico. A tale of two babies.
Tutta la puntata è "pregna" di temi mitologici.
Comuni alle più svariate culture.
Prendiamo il tema dei gemelli. Ricorre in moltissime culture. Romolo e Remo (citati da PopCorn), i tebani Zeto e Anfione (riconquistarono Tebe e costruirono una città gemella), i persiani Ormuzd e Ahriman, gli indiani d'America Justkeha e Tarviskara; i biblici Fares e Zara, Esaù e Giacobbe, i greci Preto e Acriso, Eracle e Ificle, Castore e Polluce; gli egiziani Shu e Tefnet, i peruviani Apocatequil e Piguerao ...
Il tema dei gemelli, dunque, ha un ruolo fodamentale nella mitologia di molte culture.
Due fratelli, due personalità contrapposte: uno è uomo d'azione, l'altro è artista; uno è di indole focosa, l'altro è docile; uno vorrebbe avventurarsi per il mondo, l'altro vuole rimanere a casa. Uno è chiaro e l'altro è scuro.
Jacob e suo fratello rappresentano il mito di Lost.
Dai gemelli possiamo passare all'analisi mitologica dell'isola. L'isola ricorda il tema della Grande Madre, tema connesso anche a culti legati al ciclo morte-rinascita.
La grotta con la luce ha chiari elementi simbolici legati alla Grande Madre. L'ambientanzione è in un caverna (il tipico carattere ctonio del culto), vicino a boschi e all'acqua.
L'Archetipo della Grande Madre è conservativo.
La madre "adottiva" ricorda molto il tema delle vestali. Donne votate a tenere sempre acceso il fuoco, sacro alla divinità, che rappresentava anche il cuore della città.
La madre mantiene vivo ed inviolato il cuore pulsante dell'isola.
Le vestali erano anche incaricate di preparare gli ingredienti (di una speciale miscela, la mola salsa) per qualsiasi sacrificio pubblico.
La madre dei nostri gemelli mitologici, prima di compiere dei sacrifici (uccidere Claudia e gli abitanti del villaggio), è intenta a preparare una strana miscela.
Sempre in tema di Grande Madre, l'eterna prigionia inflitta a MIB, ricorda il mito di Persefone. Mangiò i frutti degli inferi: mangiarli significava essere costretti a rimanere negli inferi in eterno.
Il connubio, ruota a otto raggi e luce, ricorda il mito di Ištar, Signora della Luce Risplendente.
L'iconografia di Ištar è collegata alla stella ad 8 punte (simbolo legato anche all'iconografia della Vergine Maria).Il simbolo della stella ricorda i cicli di Venere. Ištar finirà negli inferi. Verrà giudicata e gisutiziata. Rinascerà scambiando il proprio corpo.
Elementi mitologici. E come tali devono essere intesi!
Già, virginia.
RispondiEliminaQualche giorno fa ho scritto questo: http://barzoinforma.blogspot.com/2010/05/lost-e-gli-archetipi-junghiani.html
Non credo che sia così legittimo semplificare la questione estetica in una divisione schematica "sostenitori vs detrattori".
RispondiEliminaIo, personalmente, non mi identifico in nessuna delle due categorie. Come non mi identifico né in un deluso né in un amante costante e ancora soddisfatto.
Anche perché un amante/sostenitore può diventare detrattore, e viceversa, e un cambiamento non esclude un ritorno sui propri passi. Piuttosto, trovo invece limitato rimanere fissi a tutti i costi su un'unica posizione e cercare pretesti per difenderla.
La retorica è un'ottima arma, ancor più efficace quand'è scritta. Trovare argomenti pro e argomenti contro è un gioco da ragazzi in quasi tutte le circostanze. Individuare archetipi ed elementi letterari classici in quest'ultimo episodio è facile, almeno quanto lo è individuare le palesi, grosse falle narrative.
Il problema è che gli americani ormai da troppo tempo marciano su questa pista, per loro, ancora bella fresca da battere, per noi un po' meno: io stesso in passato ho amato nei loro prodotti i riferimenti colti e i richiami alla letteratura classica del passato europeo, i rimandi alla filosofia vecchia e nuova, al mito, alla religione, agli archetipi. E sono elementi che tuttora mi esaltano, o mi affascinano. Ma non basta pescarne a caso, o pescarne anche con cura, e metterceli lì, questo è poco di diverso dal plagio. E comunque, anche una riproposizione critica è ormai qualcosa di fin troppo abusato, se non va oltre, se non aggiunge qualcosa.
Ma questo non trovo che sia uno spunto molto ricco di contenuti, almeno non su questo blog che penso non si limiti ad un discorso di apologia o di denigrazione puramente estetiche. Perché in questo campo si possono trovare davvero infinite argomentazioni che, in fondo in fondo, non tolgono e non mettono granché. Io sono stato piuttosto annoiato dall'ultimo episodio, tuttavia non cercherei argomentazioni concrete per smentire chi ne è stato affascinato.
Rambaldo, come pensavo fosse chiaro scrivendolo - ma evidentemente non lo è, viste le reazioni che questo post ha suscitato anche sul forum di Lostpedia - la mia intenzione era evidenziare come fosse tragicamente prevedibile che il pubblico di Lost si spaccasse in dirittura d'arrivo, e come - anche se ovviamente le fazioni non sono così ben delineate - si dovesse arrivare a scontri anche aspri tra sostenitori e detrattori, come provano i recenti topic sempre sul forum citato. Naturalmente, come penso tu sappia, non prendo le difese di nessuno, ma cerco di mostrare parallelismi tra quello che succede al di qua e al di là dello schermo, ché la metanarratività è un mio pallino da sempre. Tutto qua. Io ho votato 8 all'episodio, che non è esente da pecche, ma che mi è piaciuto comunque, anche perché coerente con quanto costruito finora.
RispondiEliminaSono d'accordo sugli ottimi pensieri di Virginia e Popcorn molto colti e indubbiamente azzeccati come pure sulla considerazione di Faramir.
RispondiEliminaNell'ultima puntata anche il sottoscritto ha avuto dei dubbi su alcune spiegazioni assolutamente semplicistiche. Il finale sicuramente potrà essere un'assoluta delusione ma Lost in questi anni ci ha stimolato l'intelletto e di questo dobbiamo ringraziare gli autiori anche se dovessero deluderci sul filo di lana.
Il sottoscritto sta invece considerando una teoria probabilmente assurda ma che non posso fare a meno di espliciatare in quanto ci sono un paio di parole che mi risuonano nella testa dalla 6x12 Everybody loves Hugo
Il libro trovato da Hurley mentre rovista tra le cose di Ilana è Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij.
Il protagonista è un uomo superfluo, un antieroe, come lo definisce lo stesso autore, anzi un mascalzone, il più abietto, il più ridicolo, il più dappoco, il più stupido, il più invidioso di tutti i vermi della terra.
Eppure la pietà e la simpatia del lettore vanno a lui, anche se subito, in apertura di romanzo, toglie al lettore ogni illusione sulla sua vera natura: Io sono una persona malata… sono una persona cattiva.
Chissà perchè mi è balenato il pensiero che Jacob e MiB siano la stessa persona, i due lati, uno oscuro e uno luninoso della stessa persona. E l'ultima puntata mi sembra che potrebbe confermare questa ardita teoria.
La vera madre di Jacob è sicura di partorire solo un figlio, inoltre il fratello gemello non ha neanche un nome, questo non viene esplicitato dagli autori, perchè?
Un abbraccio. Paolo
Faramir,
RispondiEliminanon rispondevo direttamente a te ma coglievo l'occasione per un discorso generale, così come non credo tu ti riferissi a me in particolare riguardo quanto hai letto in quel topic.
Proprio lì ho appena scritto che trovo stimolante e costruttiva, in uno spazio virtuale interattivo come questo, più che una spaccatura in fazioni che riproduca quelle del telefilm, un'interazione cooperativa utile a costruire un quadro più completo per la comprensione (difficile) di un così ricco materiale.
E anche solo sul piano della ricezione estetica credo che solo i più superficiali si limitino ad amare e basta o attaccare a tutti i costi il telefilm, mentre ci si potrebbe trovare invece più verosimilmente a spostarsi continuamente fra posizioni diverse - il che pure si ricollega in modo divertente con il telefilm e si arricchisce dei contenuti stessi della storia: proprio come Jack passa dalla ragione alla fede e poi ad una visione completa, proprio come Sawyer è ribelle e poi leader, proprio come ognuno è chiamato a un leap of faith e insieme a una osservazione riflettuta dell'oceano, così credo che uno spettatore possa credere e ricredersi, poi credere ancora, e infine avere una visione conclusiva.
Per quanto mi riguarda, non solo gli spettatori devono avere "fede" nell'opera, ma anche gli autori "fedeltà". E, mantenendomi sulla morfologia, è giusto avere "fiducia" che questo avvenga, ma non credo che si debba avere "fede cieca"... se no si finisce come Locke.
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
RispondiEliminaNon sono di certo legittime, ma del tutto arbitrarie, le mie argomentazioni e non nego di ricorrere anch’io a facili schematismi.
Del resto gli schematismi, proprio in quanto –ismi, sono comodi per semplificare, ma credo abbiano un loro non disprezzabile valore.
Detto/scritto questo, ritengo che la voce (per molti aspetti fuori dal coro) di Rambaldo, sia utile a ricordarci che per gustare lo spettacolo di "Lost" non è necessario schierarsi (e vi assicuro di conoscere molte persone che la pensano così, a partire da mio fratello, che fortunatamente ha un nome e si chiama Marco), come invece la struttura della Serie spesso invita a fare, per una fazione o per un’altra, o ricercare "in primis" riferimenti culturali o meta-narrativi (il racconto nel racconto).
“La retorica è un'ottima arma, ancor più efficace quand'è scritta” e – aggiungo io - è nata in Grecia in un’epoca nella quale il pensiero logico muoveva solo i suoi primi passi. Gli stessi Sofisti (accezione che oggi si è caricata in italiano di una valenza negativa) finirono per guardare alla Retorica al di fuori di una vera ricerca della verità (scopo per la quale era nata) e a ridurla a mera arte della persuasione.
Del resto "Lost" è pieno zeppo di Retorica e di figure retoriche: chi ha tempo, e soprattutto voglia, provi a sfogliare un manuale di tale disciplina e troverà traccia di tutto ciò (magari Faramir, Virginia, o altri volonterosi, compreso me stesso appena sarò un po’ più libero, avranno la bontà di riportarne qualche esempio più dettagliato).
Ma in fondo in fondo "Lost" non mi sembra tirare in ballo la Verità, la Sapienza Biblica, lo Spirito Tragico o addirittura la Teosofia, alla quale però non manca di fare "chiare" allusioni. Mi sembra invece, più di tutto, un Grande Gioco (dài, stimato Faramir, fatti avanti!) al quale gli Autori ci invitano a giocare (pensiamo in tal senso alle tante iniziative parallele a Lost) nel quale appunto “Trovare argomenti pro e argomenti contro è un gioco da ragazzi in quasi tutte le circostanze”.
Purtroppo (accidenti al Gatto e la Volpe!) le regole del gioco non ci sono state ancora ben chiarite, ma il fatto che molti di noi abbiano comunque accettato la sfida e cominciato ugualmente la partita lo trovo positivo nonchè stimolante (e comunque conosco anche molti che, scottati dall’esito di precedenti serie televisive, si proclamano palesemente scettici, ad es. uno di loro si chiama Andrea, abita a Paròna ed ha amato Twin Peaks).
Infine, ricordo "proustianamente" (mi scuso, ma non me la voglio tirare, è solo l'effetto di lunghi anni di studio "matto e disperatissimo") quando da piccolino passavo ammirato ore e ore in spiaggia (!) per vedere i grandi giocare a bocce: tanti di noi guardano la partita di "Lost" da bordo campo… e il vero spettacolo finiscono per essere loro con i loro commenti e le loro trovate.
Namaste!
Concordo con Rambaldo, nessuno schiaramento,trovo anche abbastanza sterile sprecare del tempo a difendere posizioni ma almeno lasciamo che lo show chiuda i battenti per esprimenre un parere definitivo.
RispondiEliminaSi sa che le serie tv americane sono a volte troppo semplicistiche ricordo il finela di Battlestar Galactica che ha lasciato l'amaro in bocca ai molti fan ma che fino ad allora aveva entusiasmato.
Ma se fino ad adesso il magico duo CC eDM ci ha entusiasmato penso che si possa perdonare loro anche qualche ingenuità di troppo.
Hanno la benedizione di Lucas e magari potremmo vederli al comando di una nuova trilogia :-)
Che la forza sia con loro!!
@barzo: ho letto la tua analisi, ottima e davvero ben documentata!!!
RispondiElimina@glonfindel: Jacob e Mib la stessa persona, un lostiano "Giano bifronte"?
Mi ricollego al tema "Star Wars".
Il capitolo conclusivo della saga "Il ritorno dello Jedi", nonostante il successo, è quello - paragonato ai precedenti due - meno "amato" dai fan.
Questa sesta stagione di Lost potremmo - per le discussioni, a favore o contro, scaturite - paragonarla a "Il ritorno dello Jedi".
A pochi son piaciuti gli Ewoks de "Il ritorno dello Jedi" (anche Hurley, in "Some like it Hoth" dice " The Ewoks sucked, dude").
E forse, Across The Sea, passerà alla storia come la parte "Ewok" di Lost!!!
Infine, per quanto riguarda il tema "difendere le posizioni", mi piace citare - in simili occasioni - un vecchio proverbio yiddish ...
Esistono tre verità: la mia, la tua e la verità.
Nel nostro caso "la verità" è quella del gatto e la volpe!
grazie virginia!
RispondiEliminaMi viene da pensare che lo scontro tra Jacob e il fratello senza nome sia la prima (cronologicamente) battaglia tra scienza e fede.
RispondiEliminaJacob ha fede nel destino che la "madre" gli costruisce intorno e sceglie di proteggere la Luce pur non sapendo cosa sia, il fratello invece non crede in lei e vuole conoscere in prima persona, i naufraghi all'inizio, la Luce poi.
Ho preso il coraggio a quattro mani e ho deciso di postare il mio modestissimo contributo nell'affascinante blog dell'amico Faramir ;) (ne approfitto per complimentarmi con tutti i contributors, è una delizia leggervi!)
RispondiEliminaDi là in Lostpedia ho scritto di sentirmi come Jack difronte alla richiesta di compiere il Leap of Faith: smetterla di pensare a quanto assurda possa essere la situazione e chiedersi se davvero (alla fine) funzionerà.
Io ho deciso di fare il salto di fede poichè credo che sia questo quello che gli autori ci hanno sempre indotto a fare e che rappresenta la verà novità di Lost nel panorama degli show televisivi.
Ritengo quindi che un giudizio davvero ponderato sarà possibile esprimerlo solo alla fine, anzi io dico addirittura dopo un rewatch dell'intera serie che, sono sicuro, farà guardare i più scettici alla "trama" complessiva con maggiore benevolenza.
Ben arrivato MisterPink!
RispondiEliminaCondivido la tua richiesta.
E' vero, è un "Leap of Faith". Ma non fideista (quindi non è "credo quia absurdum"). Come giustamente sottolinei si tratta di "sospendere" il giudizio (a volte sin troppo) critico. Di aspettare la fine.
Posto io un commento di Dharmilla, altro autorevole membro del forum di Lostpedia:
RispondiEliminaUna lettura affascinante, sia il post che i commenti.
Dico la mia: ATS è una Tragedia, ma non Classica, è una Tragedia Americana, lo intendo in senso letterario.
C'è un ingrediente fondamentale del Mito Classico, che in ATS manca completamente, e forse volutamente: l'Epos.
Non cè niente di epico in nessuno dei personaggi: Jacob è un povero redneck mezzo ritardato, MiB è un povero ribelle fallito, Mother è una povera psicopatica in delirio mistico. Tutti e tre sono brutali, eppure a loro modo ingenui e illusi, e da quella ingannevole luce dorata in cui sperano, e di cui non comprendono la reale natura, avranno rovina, schiavitù, e morte.
Tutto questo mi ricorda soprattutto i topoi della letteratura americana del '900: la ribellione cieca e vana, la religione come ossessione patologica, i legami familiari tormentati e malsani, i disturbi mentali da trauma, e il Sogno Americano come Grande Inganno.
ATS è ambientato in un fantomatico 23 A.D., ma sarebbe potuto, e dovuto, essere ambientato negli anni '30 della Grande Depressione.
ATS è una Tragedia Americana, che non fonda il Mito dell'isola, ma pittosto, volutamente, la demistifica.
Tragedia classica americana ... mi viene in mente la simbologia della Luce (Verde) de "Il Grande Gatsby"
RispondiElimina"This eternal Green Light is a revealing myth of America, for it means new potentialities, new frontiers, new life around the corner. There is no destiny, or if there is we construct it ourselves. Everything is ahead; we make anything we choose of life. The Green Light beckons us onward and upward with a promise of biger and better things in higher and highr skyscrapers, interminably rising to infinity. The Green Light turns into our greatest illusion, covering our difficulties, permitting us to take evil steps with no guilt, hiding our daimonic capacities and our problems by its profligate promises, and destroying our values en route. The Green Light is the Promised Land myth siring Horatio Alger..."
No mio caro! I romani non avrebbero mai definito le tragedie greche 'robaccia', perchè, come ben sai e con buona pace delle tue origini latine, erano Βαρβαροι e dotati di un bel complesso d'inferiorità, che li ha portati a "copiare" quanto di bello ci fosse nella civiltà greca, non sempre con buoni risultati!
RispondiEliminaDopo più di duemila anni si ripete la storia: i Βαρβαροι di oggi cercano di copiare modelli dell'altro ieri, con risultati non molto dissimili da quelli degli antichi Βαρβαροι. Ma il "male americano" purtroppo s'è diffuso anche in Europa, portando tanti a una non colpevole assuefazione a certa estetica sovrabbondante, pletorica, propria di epoche di decadenza spirituale: pensa alla poesia barocca, per esempio o all'iperdecorativismo nell'architettura del Seicento.
Satis de hoc.