Una soluzione che potrebbe coniugare almeno le due opzioni metafisica e fantascientifica (lasciando fuori il soprannaturale, che risulterebbe un deus ex machina troppo indigesto) è lo scenario che vogliamo chiamare - ipotesi di lavoro - postumano. Lo status postumano ha diverse possibili definizioni, nella letteratura contemporanea: delle tante, ne scegliamo due.
E' postumano ciò che trascende l'umano, a seguito della singolarità tecnologica. La singolarità tecnologica - a sua volta in una tra le definizioni più gettonate - è quel momento della storia umana, nel quale il tasso di sviluppo tecnologico diventa infinito, ossia quell'istante in cui la tangente alla curva dello sviluppo diventa verticale: da lì in avanti, il tempo non viene più misurato nel modo in cui siamo abituati e l'umanità diventa qualcosa di diverso. Pura informazione disincarnata, direbbe Greg Egan - ma è qualcosa che non possiamo nemmeno immaginare, legati come siamo alle nostre categorie classiche: gli autori di fantascienza ne parlano, appunto, in termini informatici, ma solo in mancanza di trascendenti davvero nuovi. Se Jacob e il suo antagonista fossero postumani in questo senso, lo scenario informatico potrebbe ritornare alla ribalta, con il virtuale che diventa - di fatto - il reale della nuova umanità, e con il tempo che perde il suo significato consueto, per essere piegato alle esigenze della disputa che è in corso - e che potrebbe benissimo essere cominciata nel lontano futuro.
Oppure postumano è ciò che diventa l'umano dopo tutte le possibili permutazioni delle sue variabili esistenziali, qualcosa di completamente, definitivamente umano, che si realizza grazie a condizioni spazio-temporali particolari (le proprietà fisiche dell'Isola?). Qualcosa che è descrivibile ancora attraverso le categorie umane, ma solo dopo un tempo, che linearmente può essere visto come infinito, eppure che - avvolgendosi su sé stesso - è contemplabile dall'esterno nella sua interezza. Se Jacob e il suo antagonista sono postumani in quest'altro senso, assomigliano a due giocatori, non già di scacchi - come la somiglianza della scena sulla spiaggia con Il Settimo Sigillo potrebbe lasciar intendere - non già di backgammon - come invece potrebbe evincersi dalla già citata scena tra Locke e Walt - ma del Gioco delle Perle di Vetro di cui parla Hermann Hesse nel romanzo omonimo. Si tratta di un romanzo ambientato in un futuro non meglio precisato, in cui almeno una parte dell'umanità, quella che si raccoglie tra le mura di Castalia, ha raggiunto un grado di sviluppo intellettuale tale da potersi dedicare quasi esclusivamente al gioco che dà il titolo all'opera, una misteriosa pratica combinatoria di tutte le arti e le scienze umane, che esplora tutti i possibili nessi fra i concetti immaginabili dall'uomo, per attingere - questo parrebbe lo scopo del gioco - ad una sintesi superiore e dunque a una conoscenza più completa. Comprendere l'uomo, diventare più compiutamente uomini, attraverso l'iterazione di un gioco sempre più complesso, in un tempo fuori dal tempo: è forse quello che stanno facendo Jacob e la sua nemesi?
Ci piace credere che anche il nostro sia un gioco delle perle di vetro, un piacere intellettuale che esplora però dimensioni profonde della condizione umana; sicuramente lo è quello degli autori di Lost, che connettono le idee, le suggestioni, i contenuti più varii, combinando e scombinando, permutando e riordinando le perle di vetro che poi ci lanciano alla rinfusa.
Ma il tempo sta arrivando, they're coming!
Namaste.
RispondiEliminaFaccio subito un commento a caldo, poichè spero di ritornare successivamente sulla definizione di "postumano" che richiede assolutamente tempo e concentrazione.
By-passo i complimenti scontati per le interpretazioni che ci offri nel tentativo di coniugare metafisica e fantascienza e opto (per ciò che possa contare) senza dubbio per la seconda.
La trovo più intrigante (ma questo è un risvolto meramente soggettivo) e mi sembra obiettivamente anche più vicina al punto di vista espresso dagli autori mediante la storia.
I riferimenti alla partita, come tu stesso hai ricordato, sono tanti, sono chiari e lo sono da sempre ; trovo l'analogia col romanzo di Hesse (che a questo punto mi propongo di leggere)estremamente ficcante e coerente con la visione di individui aventi un grado di evoluzione e consapevolezza al di sopra dell'immaginario collettivo.
Infine, concordo con la tua chiusura, il tempo sta arrivando....they're coming.
SEE YOU SOON.
Namaste.
RispondiEliminaMi sembra che la tua suggestione su "Il gioco delle perle di vetro" sia assolutamente affascinante e centrata.
Mi piace molto l'analogia tra il gioco in atto tra Jacob e la sua Nemesi e quello dei monaci di Castalia,la quale appunto non è un semplice spazio geografico, ma un luogo d'unione di tutti i tempi..interessantissimo come ne scrive Hesse in una lettera:"Una possibilità della vita intellettuale, non un ideale valido per l’eternità, bensì un mondo potenziale, conscio della sua relatività".
Sarebbe da capire se il gioco è puro divertissment di cui dilettarsi, oppure con ripercussioni nel mondo reale (ma questo rimanda alla specificità della natura propria dell'isola ed al suo rapporto col mondo esterno).
Il magister ludi alla fine sceglie di lasciare Castalia per vivere tra gli uomini, perchè annoiato dalla sterilità di una vita fatta di soli intellettuali e desideroso di dare il suo contributo alla vita degli uomini..il suo credere nel progresso evolutivo dell'uomo ricorda Jacob, il cui sacrificio presente, forse, sin dall'inizio della tessitura della trama, è funzionale ad una concezione illuministica dell'umanità.
by the way..see you soon!
RispondiElimina;-)
La metafora del gioco è centrata e per questo mi piace pensare che i due grandi burattinai, Jacob e Nemesi, siano dentro la dialettica delle forze della libertà e della necessità, cioè all’interno del gioco e non al di fuori di esso. I due massimi giocatori del tempo, proprio in quanto giocatori, sono compresi, in tal senso, nel tempo stesso, comunque questo sia concepito. Vi è gioco se vi è una posta per cui prendere posizione e lottare. La profonda struttura del reale è governata dalla libertà o dalla necessità (oppure da una combinazione di entrambe)? I due giocatori non lo sanno e lo devono scoprire mediante l’osservazione, l’analisi e gli esperimenti. Non, dunque, due rappresentazioni, simbolizzazioni della libertà e della necessità (non due enti supremi super partes), ma due giocatori che “scommettono” sull’una o sull’altra. Non un gioco puramente intellettualistico, per così dire, dall’esterno, ma un gioco nel quale anche loro, appunto, sono messi in gioco fino a rischiare ciascuno la propria esistenza.
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