venerdì 8 maggio 2009

Only fools are enslaved by time and space

E ad un certo punto, tutto mi è parso più chiaro.

Alla fine oramai della fifth season, la frase che per me ha rappresentato un tormentone, ha preso finalmente la sua giusta collocazione, il suo colore appropriato divenendo meno eterea.

“Only fools are enslaved by time and space”; un leitmotiv che mi ha accompagnato costantemente con le mille sfumature che di volta in volta lo show mostrava all’impavido telespettatore.

Oggi finalmente il mio plauso va agli autori che, sebbene siano inevitabilmente incorsi in qualche peccato di presunzione scivolando su alcuni paradossi, sono riusciti comunque a giocare con lo spazio-tempo in maniera tuttavia originale.

Un po’ perchè la storia si dipana mostrandosi mediante due piani temporali in movimento parallelo, ma soprattutto perchè coordinate spazio-temporali contenenti eventi e personaggi si incontrano e si scontrano, svilendo miseramente la percezione lineare del tempo che la nostra condizione ci offre.

E’ così che il mio presente si imbatte nel tuo passato condizionandolo e risolvendolo, creando in te un ricordo di me in anni, ragionando in termini consequenziali, nei quali probabilmente non sarei manco dovuto essere nato; ma affichè tutto ciò accada bisognerà attendere che io nasca e che ad un certo punto del mio “tempo lineare”, coordinate spazio-temporali apparentemente lontane (se seguissimo una time-line) si fondano. Un geniale rincorrersi nella trama del tempo, un grosso cane che si morde la coda, un immenso cerchio.

Badiamo bene però, non si tratta assolutamente di creare ponti di interazione tra due epoche inscritte su di una linea, nonostante gli inganni proposti dalla nostre percezioni; si tratta piuttosto di ammettere che il melting-pot quadrimensionale di Minkowski funziona e senza tenere per nulla conto di quale anno convenzionale sia per noi.

In un contesto simile, parole come time-line, allineamenti temporali, date ed ore perdono completamente significato ed hanno il solo scopo di dare un ordine alle cose secondo le nostre convenzioni ; con ciò non voglio dire che vadano snobbate, non fosse solo perchè ci semplificano i ragionamenti, ma è necessario che si utilizzino queste grandezze con la consapevolezza del fatto che non corrispondano ad una realtà oggettiva o quantomeno alla realtà che muove e ordina i corpi nell’universo.

La stessa sapiente consapevolezza che gli autori hanno fin qui utilizzato creando loop temporali, non solo in termini di probabile reiterazione degli eventi, ma soprattutto in relazione ad eventi “futuri” che condizionano quelli “passati” e viceversa, estremizzando il concetto, fino a condurre John Locke ad agire per “conto terzi” su se stesso.

L’immaginaria linea del tempo viene scomposta in elementi sempre più piccoli, infinitesimali e gli stessi elementi si mescolano tra loro creando situazioni paradossali ma teoricamente possibili secondo i rudimenti di fisica relativistica.

Un invito quindi, ad aprire la mente verso un nuovo concetto di tempo più vicino alla realtà. E’ questo, che a mio parere, rende ancora più unico questo show movie, il tentativo di rendere fruibili concetti e tesi di “nicchia” accessibili di solito ai soli addetti ai lavori, la volontà di divulgare ed in qualche modo di far cultura su argomenti assolutamente ignoti ai più; e tutto ciò partendo da una affermazione che ha il sapore di un monito: “Only fools are enslaved by time and space”.

venerdì 1 maggio 2009

É parte do plano, meu amigo, é tudo parte do plano

All'indomani del finale di Through the looking glass, quando in molti cercavano ovunque flashforward nascosti nelle stagioni precedenti, qualcuno di noi azzardò che la scena conclusiva di Live together die alone, quella con i portoghesi che chiamano Penelope Widmore per annunciare I think we found it, potesse essere il primo, vero ff a cui avessimo inconsapevolmente assistito. La cosa fu ipotizzata senza tema di smentite, attesa l'imperscrutabilità di quel finale, ancor oggi avvolto nel mistero più fitto. L'anno dopo, notata la simmetria tra i finali della terza e della quarta stagione (con There's no place like home che riprendeva il medesimo flashforward, per completarlo e inquadrarlo nel contesto dell'esperienza off-island degli O6), qualcun altro rincarò la dose scommettendo che il finale della quinta stagione, che non dista - per chi scrive oggi - più di tre settimane, avrebbe ripreso, per analoga simmetria, la scena dei portoghesi, per contestualizzare questo flash (back? forward?) finalmente nella cornice di quanto avremmo appreso nel frattempo. Ci si spingeva addirittura a lanciare l'ipotesi che anche il finale della sesta e ultima stagione si sarebbe attenuto a questa modalità simmetrica, riprendendo il flashback finale di Exodus. Ovviamente qui cascava l'asino, in quanto le scene finali della prima stagione - a parte la botola e la zattera - riguardano l'imbarco dei passeggeri sul volo Oceanic 815 - qualcosa che non ha bisogno di inquadramenti e contestualizzazioni, qualcosa su cui pensiamo di sapere tutto, o quasi. Fino a ieri.
The variable è un episodio decisivo non tanto per le agnizioni più o meno previste tra Daniel Faraday, Eloise Hawking e Charles Widmore, non solo per aver chiarito qualche scena che attendeva collocazione (Daniel nel cantiere dell'Orchidea, oppure in lacrime davanti al notiziario del ritrovamento del finto relitto dell'815), quanto e soprattutto per lo scambio di battute tra Faraday stesso e Jack, in cui viene ipotizzato cosa succederebbe se la Stazione Cigno non venisse mai costruita, cosa che Faraday vorrebbe riuscire ad ottenere quello stesso pomeriggio: If I can, then that hatch will never be built, and your plane... your plane will land, just like it's supposed to, in Los Angeles.
La frase assume i contorni della rivelazione mitologica, se solo pensiamo a quello che sta per avvenire, qualcosa che ha sempre di più l'aspetto di una guerra tra le forze del destino e del libero arbitrio - da qualcuno di noi, ça va sans dire, intravista già un anno fa. Poco importa che il dubbio programma di Faraday venga impietosamente interrotto, come è sempre stato, da sua madre: la battaglia sta per iniziare e si svolgerà su più piani temporali, almeno i due (thirty years earlier/after) sui quali ci siamo abituati a seguire le vicende di questa stagione. Due piani che siamo sempre più convinti dovranno comunicare direttamente fra loro, come nel filmato del Dottor Pierre Chang (o come nel racconto Il mercante e il portale dell'alchimista, premio Nebula e Hugo 2008, pubblicato su Robot n. 55, il cui autore porta un nome che pare conferma indiretta della teoria, Ted Chiang). 
Un ruolo importante - probabilmente il vero ruolo di variabile, checché ne pensi il povero Daniel - lo giocherà Desmond, a cambiare qualcosa tra il 1977 e il 2007, che renda incerte le sorti della disputa. E che renda le scene dell'imbarco dei nostri sul volo Oceanic 815 un finale aperto per l'intera serie. Qui vogliamo arrivare: gli autori sostengono da sempre (lo hanno fatto anche in un recente podcast) che sanno già quale sarà la scena finale di Lost, sebbene non abbiano già sceneggiato l'episodio finale. Ora, se a questo aggiungiamo la nozione - risaputa - che il titolo originale della serie doveva essere The Circle, e se diamo per scontato che una scena finale coincidente con l'apertura dell'occhio di Jack sarebbe troppo banale, ci resta un'ipotesi quantomai lineare: l'ultima scena di Lost sarà quella dell'imbarco dei passeggeri del volo Oceanic 815, ma con lo spettatore che non sa se siano destinati a schiantarsi sull'Isola o ad atterrare serenamente a Los Angeles. Tutto ciò, in virtù degli avvenimenti della sesta stagione, che opereranno presumibilmente cambiamenti nel passato, ma senza che vi sia la certezza della vittoria dell'una o dell'altra parte - incertezza che si ripercuote logicamente sul destino del volo 815.
Perché affrettarsi a postare questa teoria, in luogo di un'analisi dell'episodio? Perché cedere ancora alla tentazione della speculazione estrema? Non è per poter dire, poi, c'eravamo arrivati prima noi! Non è per evitare plagi, attribuendo una data certa alle proprie idee. E' perché queste idee, che raramente sono esclusivamente personali e più spesso comunitarie, nella loro ricchezza e profondità, nel brivido che danno a enunciarle e discuterle e commentarle, quale che si riveli la loro fondatezza, possano non andare del tutto perdute nel tempo, come lacrime nella pioggia.

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